Avezzano. L’appuntamento per il mese di marzo (mercoledì 23) del nostro Cineforum è Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, uscito nelle sale italiane il 02 ottobre 1964, dopo aver vinto il Leone D’Argento alla XXIV Mostra di Venezia. È una fedele riproposizione del testo sacro, trattato in maniera antidogmatica, tanto che l’opera fece sensazione e scatenò un aspro confronto intellettuale sulla stampa. Diciamo subito che i silenzi sono la forza del film e le parole la debolezza. I silenzi di Pasolini sono affidati all’organo che è più legato al silenzio: gli occhi dei personaggi. Le sequenze silenziose del Vangelo secondo Matteo sono le più belle, appunto perché il silenzio è il mezzo più sicuro per farci fare il salto vertiginoso all’indietro che ci propone Pasolini con il suo film. La parola è sempre storica; il silenzio si pone fuori della storia, nell’assolutezza delle immagini: il silenzio della Annunciazione, il silenzio che accompagna la morte di Erode, il silenzio degli apostoli che guardano Gesù e di Gesù che guarda gli apostoli, il silenzio di Giuda che sta per tradire, il silenzio di Gesù che sa di essere tradito. Il silenzio nel film di Pasolini non è, d’altra parte, quello del cinema muto, cioè un silenzio per difetto; bensì è il silenzio del parlato, cioè un silenzio plastico, espressivo, poetico, religioso appunto. Mentre i silenzi sono di Pasolini, le parole, ovviamente, sono del Vangelo. Ma che Gesù è quello di Pasolini? Si tratta di un Gesù molto diverso da quello conformistico che predomina ancora oggi. Non vogliamo sprecare troppe parole su un fatto ovvio: è chiaro che la bontà di Gesù ha, in sede storica, un carattere rivoluzionario, e che, nel momento stesso che Gesù diceva: “Ama il tuo prossimo come te stesso”, egli diceva qualche cosa che non era soltanto l’espressione di un sentimento, ma soprattutto, rispetto al mondo di allora, qualcosa di oggettivamente sovvertitore. Per questo, Pasolini ha mirato a darci un Gesù duro, violento, iconoclasta, inflessibile, come appunto doveva apparire ai suoi contemporanei. Inizialmente Pasolini voleva che ad interpretare il Cristo fosse un ragazzo di strada, ma dopo molto cercare si rese conto che Gesù non poteva avere il volto di un proletario, e quando vide il volto “borghese” del ragazzo spagnolo venuto in Italia in cerca di appoggi politici e intellettuali, ne fu folgorato e gli propose la parte, che Enrique Irazoqui accettò dopo non poche remore. (m.d.c*)
*articolo tratto dal giornalino del Liceo Scientifico Vitruvio Pollione-