Avezzano. Continua a piovere nelle zona alluvionate e la preoccupazione sale, ma ora si cerca di capire cosa possa essere accaduto dal punto di vista idrogeologico e soprattutto se quello che si è verificato, che ha portato a decine di abitazioni sfollate, a oltre 20 milioni di euro di danni e anche a delle vittime, poteva essere evitato.
Il pericolo in realtà era conosciuto, come emerge dalla Carta degli scenari di rischio del Comune di Canistro, in un piano stralcio per il rischio idrogeologico e rischio di frana. Si tratta di un documento dell’Autorità di bacino dei fiumi Liri Garigliano Volturno. Un fascicolo ufficiale di cui tutti erano a conoscenza e che parla di “Area a rischio elevato” (R3) e a rischio molto elevato (R4) nelle zone limitrofe e di Rischio potenzialmente alto (Rpa) proprio nel centro abitato.
Per il geologo Christian Cannese, spesso intervenuto in situazioni come quella di Canistro e anche peggiori, il rischio era noto.
«Sono stato a Canistro e Luco per dei sopralluoghi di natura geologico-tecnica», spiega Cannese, «e più di una persona anziana affermava: “Nella mia vita non ricordo mai un evento simile”. Subito dopo mi chiedevano: “ma cosa sta succedendo?”
Gli eventi eccezionali hanno tempi di ritorno medi a volte molto più lungi della vita di una persona; quindi è plausibile che una persona non osservi in uno stesso preciso luogo due eventi simili estremi (a parte eccezioni come Genova).
Tuttavia, rispetto a un tempo, le variate condizioni ambientali (come la diminuzione delle pratiche agricole rurali e l’elevato consumo del suolo per scopi antropici) in concomitanza con i forti cambiamenti climatici (precipitazioni più intense e concentrate) impongono oggi un profondo cambiamento culturale».
In che modo?
«Voglio dire, in generale, che non solo non sono più tollerabili i noti condoni edilizi, le cementificazioni dei fiumi, ma serve anche una rivoluzione culturale che parta dalle scuole elementari (cosi come si fa da anni per l’inquinamento). Serve una rivoluzione finalizzata a fare in modo che qualsiasi cittadino cresca prendendo fin da subito coscienza e conoscenza delle situazioni di pericolo che la natura ci presenta, delle caratteristiche del proprio territorio, dei buoni comportamenti da adottare, dei piani di emergenza, dei diritti e doveri finalizzati a tutelare le comunità dalle calamità naturali, dei ruoli dei servitori dello Stato in caso di emergenza.
In riferimento a questo ultimo punto, questi giorni ho sentito accusare da più cittadini il sindaco di Canistro Antonio Di Paolo di non aver preso la pala in mano per andare a spalare; questo è inaccettabile e dimostra che non si conosce la base dell’emergenza; esistono precisi doveri del primo cittadino, tra cui quelli di coordinare le operazioni di protezione civile, collaborare al ripristino dei disagi, gestire lo smaltimento dei rifiuti derivanti dall’alluvione e altre mille cose; tutte cose che io ho personalmente visto fare dal buon sindaco, cose che non avrebbe potuto fare con una pala in mano; in tal caso avrebbe violato la legge e abbandonato il ruolo impostogli dallo Stato.
Va inoltre ripensata a 360° l’incidenza dell’uomo, con le sue azioni, sul territorio”.
A tal riguardo bisogna precisare che da anni si parla in Italia di una legge sul consumo del suolo senza mai venire alla luce. In Germania, ad esempio ne esiste una teorizzata nel 96 e messa a sistema dal governo Schroeder nel 2002».
Ma in Italia quanto suolo consumiamo?
«Dal 1956 a oggi il consumo di suolo è aumentato del 156%, mentre la popolazione è aumentata del 24%. Insomma, ogni cinque mesi viene cementificata un’area grande quanto Napoli a volte in luoghi inadeguati.
Quindi quando succedono delle catastrofi non si può rimandare sempre al fato, alla eccezionalità dell’evento.
Prendiamo ad esempio Canistro: dalle carte dell’Autorità di Bacino del Liri Garigliano (in allegato) si osserva che il rischio idraulico associato al torrente Sparto era già stato evidenziato, mi sembra di ricordare, fin dal 2003. Lo stesso edificio comunale ricade nell’area a rischio (probabilmente costruito prima della pubblicazione delle stesse carte di rischio).
Il pericolo idrogeologico è spesso correlato alle condizioni climatiche, soprattutto per quanto riguardo il rischio idraulico (tipo quello di Canistro) e queste ultime sono condizionate in parte dall’inquinamento atmosferico di origine antropogenica, che nel tempo tende ad aumentare nonostante alcune accordi internazionali cerchino di contenerlo; risultato?
Gli eventi climatici estremi sono più frequenti e più violenti; di conseguenza anche le aree affette da rischio idrogeologico tendono spesso ad essere soggette ad un rischio maggiore a parità di valori esposti (vite umane, infrastrutture, patrimoni edilizi, ecc.)
Questo quadro obbliga oggi a rivedere al più presto e aggiornare continuamente le carte degli scenari di rischio, in alcuni casi create molti anni fa; inoltre le situazioni di rischio conclamate devono essere risolte o quanto meno monitorate in maniera capillare e vanno anche incluse nuove situazioni di rischio che man mano vanno nascendo.
A questo punto ci sono tre strade da percorrere, almeno in teoria:
Delocalizzare i beni esposti (possibile soluzione, ma con un costo immenso)
Mitigare il rischio con opere ingegneristiche (con costi elevati)
Adottare misure di controllo e monitoraggio (a costi bassi), finalizzate a salvaguardare almeno le vite umane».
Ma di che opere e di quali opere si parla? Quanti soldi sono necessari per mettere in sicurezza un territorio cosi vulnerabile come quello italiano? Quante persone sono interessate dal rischio?
«Secondo il rapporto Ance/Cresme-Legambiente-Protezione Civile-ISPRAla, stima dei Piani di Assetto Idrogeologico, servirebbero 40 miliardi.
Dal 2002 al 2012 i fondi destinati alla prevenzione sono stati circa 2miliardi.
Solo il 5% dei bandi per le opere pubbliche riguarda la prevenzione.
€ 61,5 mld I danni stimati da dissesto idrogeologico dal 1944 al 2012.
5.702.770 le persone che vivono in zone a rischio idrogeologico (frane e alluvioni), il 9,6% della popolazione italiana
+ 7,2% previsione della crescita di persone che andranno a vivere in zone a rischio entro il 2020
420.457 Popolazione che entro il 2020 si sposterà in zone a rischio idrogeologico»
Cosa succede quando i comuni intervengono subito dopo la calamità?
«Per sanare i danni provocati dagli eventi calamitosi, i Comuni lo fanno in regime di “somma urgenza”; l’intervento in tale regime ha costi mediamente superiori rispetto agli interventi preventivi.
Ma l’assurdità è che un comune come Canistro che si è immediatamente adoperato per incaricare una serie di ditte locali per liberare il paese da terra, massi e fango trasportati dalla colata di detrito occorsa, ricorrendo alla somma urgenza rischia un domani, per incomprensibili criteri, di non vedersi riconosciuto lo stato di calamità e quindi di dover andare a pagare di tasca propria gli interventi realizzati in somma urgenza; questo vuol dire rischiare il dissesto finanziario che ancora una volta avrà ripercussioni sui poveri cittadini, già colpiti dalla calamità, con la conseguente carenza di servizi».
Ma veniamo al punto. Cosa è cambiato oggi?
«La prevenzione dal dissesto idrogeologico dovrebbe rappresentare, anche in termini meramente economici, la prima grande opera del Paese e invece è sempre rimasta sui documenti e nelle parole dei convegni o dei politici altolocati; nella realtà quindi si fa troppo poco e con criteri spesso incomprensibili.
Si qualcosa sta cambiando, con i presidenti delle regioni nominati commissari straordinari per il rischio idrogeologico, ma restano inadeguate le risorse fornite dallo Stato alle Regioni; inoltre è a mio avviso sbagliato il percorso.
Oggi per far finanziare un intervento ingegneristico per la mitigazione del rischio idrogeologico (parliamo di centinaia o milioni di euro), viene richiesto dalla Regione un progetto esecutivo per le opere di mitigazione, ma con le piccole risorse dei comuni non si riesce neanche a far fronte alle spese per questa progettazione; risultato? Si è costretti ad osservare i disastri annunciati, soprattutto quando si è “piccoli”.
Gli amministratori di un comune come Canistro probabilmente conoscono bene i rischi che gravano sul proprio territorio, non hanno sicuramente in cassa i soldi per eseguire la progettazione di tutte le situazioni di rischio che gravano sullo stesso e probabilmente neanche per una soltanto di esse.
L’altra assurdità è che se ci fossero i soldi in cassa per fare almeno gli studi e/o installare almeno i sistemi “sentinella” di monitoraggio e allerta, di fatto i comuni non possono spendere i soldi necessari perché bloccati dal Patto di stabilità; nonostante i disastri degli ultimi anni, con frequenza tendente ad aumentare, ancora oggi il patto di stabilità non permette ai comuni di spendere soldi per prevenire il dissesto idrogeologico…una follia
Quando un Comune va a chiedere alla Regione dei finanziamenti per risolvere tali rischi e salvare la pelle della gente, si vede spesso la richiesta di finanziamento non accolta per mancanza del progetto esecutivo…
Invece, in presenza di un progetto esecutivo, non è ben chiaro il criterio con cui alla fine viene finanziato, dalla Regione, un comune piuttosto che un altro.
Una cosa è certa: un comune ricco, con molti abitanti è sicuramente avvantaggiato rispetto ad un piccolo comune come Canistro; voglio dire: avere una stessa identica frana a Pescara o Canistro non sarà la stessa cosa. Sulle casse del comune di Pescara un intervento di mitigazione da u nmilione di euro avrà un incidenza completamente diversa rispetto a Canistro.
Un disastro idrogeologico su un piccolo comune può voler dire anche l’abbandono del centro abitato stesso (vedi i moltissimi casi succeduti in Italia dall’unità ad oggi), la perdita irreversibile di un patrimonio e di una identità storico-culturale».
E allora che fare? Ci sarà pure una soluzione anche se parziale che salvi almeno le vite umane? Quale potrebbe essere il modo corretto di operare?
«A mio avviso, invece di attendere il prossimo disastro, perdere vite umane e poi ottenere fondi dallo Stato in regime di calamità, per risanare definitivamente il problema idrogeologico verificato in quel preciso luogo e visto che le Regioni hanno oggi delle disponibilità economiche limitatissime sarebbe più corretto procedere in questo modo:
Innanzitutto insegnare a scuola tutti i rischi che caratterizzano il territorio in cui si vive, come comportarsi in caso di calamità, come utilizzare il suolo; rendere immediatamente e con ogni mezzo tutta la popolazione informata dei rischi che gravano sui luoghi di appartenenza.
Poi finanziare in primis gli studi e l’aggiornamento continuo di tutte le carte di rischio della penisola magari sotto la regia dei Comuni e con la supervisione delle Autorità di Bacino (visto che le modifiche ambientali e climatiche viaggiano più veloci delle procedure burocratiche necessarie per approvare le stesse carte)
Immediatamente dopo, monitorare in continuo, con le tecnologie oggi disponibili (inclinometri, pluviometri, laser scanner, ecc.) il movimento di tutte le frane e le condizioni termo pluviometriche di almeno tutti i bacini idrografici che gravano su elementi sensibili esposti al rischio (vite umane, patrimoni) collegando tali sistemi di monitoraggio a sistemi di allarme comunale che avvertano le popolazioni in caso di superamento di un livello di guardia. In questo modo si salveranno almeno le vite umane, con una spesa “irrisoria” …Questi monitoraggi continui evidenzieranno inoltre con maggiore precisione le situazioni più gravose della penisola e serviranno a definire una scala delle priorità di intervento.
Come quarto punto, definita la scala delle priorità di intervento, finanziare i progetti esecutivi delle opere ingegneristiche necessarie alla mitigazione.
Infine una volta pronti i progetti, in base alla disponibilità economica di ciascuna Regione, passare alla realizzazione degli interventi (consolidamenti, regimazione idraulica, ecc.)
In tutto questo cronoprogramma i Comuni devono gestire gli studi, i monitoraggi, l’allerta, la progettazione e la realizzazione degli interventi sotto la supervisione delle Autorità di Bacino e delle Regioni; le Regioni (e non i comuni) devono mettere i soldi per ciascuna fase e con i criteri sopra esposti.
Se non si procede in questo modo si può incorrere nel rischio che la Regione vada a finanziare un intervento di milioni di euro in un luogo si a rischio ma molto meno rischioso di altri siti, togliendo l’opportunità finanziaria necessaria a strumentare e monitorare, almeno per la salvaguardia delle vite umane, l’equivalente di decine di siti a rischio altissimo.
In definitiva, come sono le caratteristiche geologico-tecniche tipiche della Val Roveto?
«Le precipitazioni di questa Valle sono tra le più alte della Regione; parliamo di circa 1400 mm /anno;
Gran parte della Valle è ammantata da un materiale (limi, sabbie, argille, detriti) che di per se può essere soggetto a frane, colate di detrito, smottamenti, ecc. soprattutto quando le pendenze dei versanti sono elevate;
Le energie di rilievo nella Valle sono mediamente elevate.
L’elevate differenze di quota tra il fondo valle e le cime e la particolare posizione, tra la fredda Piana del Fucino e la calda piana di Sora, possono renderla sede di precipitazioni intense.
Ne risulta che la Val Roveto (come l’intera Marsica) è un territorio a cui porre particolare attenzione.
Tuttavia preservare il territorio dai rischi naturali non riesce in Italia a diventare la priorità politica soprattutto nei territori più vulnerabili; questa è la grande opera necessaria al paese.
Purtroppo ancora oggi la consapevolezza dei rischi e la crescita della sensibilità politica nazionale viaggiano ad una velocità di gran lunga inferiore rispetto a quella propria delle variazioni climatiche e delle modifiche del territorio».