Villavallelonga. “Zia Eufè, hai visto? Ci hanno ucciso l’orso”. “È vero. Vieni guarda, mò ti faccio vedè una cosa. Ma sai quante volte è venuto al bar mio l’orso?”.
Eufemia ha 82 anni. A Villavallelonga, piccolo centro del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, è una specie di “istituzione”. Il suo bar, a due passi dalla piazza principale del paese, è uno dei punti di riferimento della comunità di “Villa”. Questa mattina dietro al bancone era sola. I suoi figli, Luca e Emanuele, lavorano in delle multinazionali e non riescono a stare più al bar. Serviva cappuccini, caffè. Non si è fermata un attimo. Tra una cosa e un’altra ci ha raccontato che da poco erano ripartiti i canadesi che ad agosto sono stati lì per le vacanze. Mi conosce bene. È abituata alla mia presenza, alle visite di quella giornalista che sa che ama quel posto in cui il tempo sembra si sia fermato. “Dobbiamo scrivere un articolo su questo bar!”, mi dice ogni volta che mi vede, prima che lascio il suo locale: “Questo bar è qui dalla fine dell’Ottocento”!”.
È domenica mattina. Nel locale ci sono i ciclisti, per un caffè “al volo”, prima del rientro in città. C’è qualche “montanaro di passaggio”. Ci sono clienti fissi di Trasacco, che quando ci vedono lasciano dei soldi sul bancone e vanno via sorridenti. Pagano il caffè a tutti. Sono gli uomini marsicani, dei paesi in cui un uomo al balcone di un bar paga sempre il caffè a due donne con cui hanno appena scambiato due chiacchiere.
C’è il sindaco, Leonardo Lippa. Quando mi riconosce sospira. Sa che gli parlerò dell’orso ucciso a San Benedetto dei Marsi. Amarena, simbolo d’Abruzzo, la mamma orsa tra le più prolifiche del Pnalm. Amarena è stata freddata con un colpo di fucile alla schiena, mentre si allontanava dal giardino del proprietario di una norcineria del paese.
Ora sulla sorte dei due cuccioli di Amarena, tutto l’Abruzzo, anzi, tutta l’Italia, sta mantenendo il fiato sospeso. Il rischio è che non siano in grado di sopravvivere senza la mamma.
Ma anche questa volta la natura sta dando a tutti una grande lezione. Ed ecco le immagini diffuse dal Parco, dove si vedono i due cucciolotti mangiare frutta sugli alberi, esattamente come Amarena ha insegnato loro. A Villavallelonga l’orso non fa paura a nessuno. “Guarda”, mi dice Eufemia mentre lascia il bancone, si avvicina alla borsa e prende in mano uno smartphone. È una scena davvero esilarante. Ha 82 anni e lo maneggia come un’adolescente. Paola arriva da Avezzano. È un’escursionista che per la prima volta entra in quel bar. La guarda con curiosità e zia Eufemia (così la chiamano tutti in paese e così sono abituata a chiamarla anche io ormai), in pochi minuti le ha raccontato la storia della sua attività. Storica nel paese. “Io sono cresciuta qui. I miei nonni mi facevano dormire su due sedie quando ero piccola, all’epoca mica esistevamo i lettini! Noi qui l’orso lo abbiamo sempre avuto, li abbiamo sempre visti”.
Ci mostra il cellulare. Nella chat di famiglia spunta il video in cui si vede un orso attraversare piazza IV Novembre, sotto la scalinata della chiesa parrocchiale. Si vedono dei ragazzi seduti sui gradini. Guardano l’orso passare, qualcuno si alza un po’ spaventato ma dopo pochi secondi si risiede. “Noi abbiamo sentito un urlo”, racconta zia Eufemia, “chi era qui al bar ha pensato che qualche bambino fosse caduto dalla scalinata. Poi abbiamo visto l’orso. Lui passa sempre qui per il bar. Per noi è tutto normale. L’orso è di tutti. E siamo tornati tranquillamente ognuno a fare quello che stava facendo”.
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Nel bar arriva anche Nicola. È uno dei fondatori della D.F.P. (Dance Factory Production), associazione di Promozione sociale, nata dall’attivismo di un gruppo di amici legati da un legame indissolubile. Promuovono eventi culturali, musicali e di vocazione ambientale. Sono tanti i giovani del paese che vivono ormai in città. Affermati professionisti che però poi sentono il richiamo della propria terra di origine, in cui tornano, in cui si riconoscono per valori, tradizioni condivise, amore per le montagne. E per la fauna selvatica che le vive. Per l’orso. Oggi quei ragazzi ormai uomini stanno soffrendo, perché un torto anche a loro e al loro attivismo è stato fatto.
Domani la D.F.P. sarà presente a Pescina, alla manifestazione organizzata per sostenere la tutela della fauna selvatica in Abruzzo.
In questi giorni il dolore per la morte dell’orso ha colpito tutti e un episodio così violento ha messo a rischio la reputazione e la credibilità di una regione intera. Una comunità che però nulla sente di condividere con chi ha ucciso Amarena. L’orsa amante delle ciliegie, simbolo di un altro paese che oggi non si rassegna alla sua perdita. San Sebastiano, frazione di Bisegna. Quel paese che le ha dato il nome, che solo qualche mese fa, ha diffuso le immagini mentre l’orsa garantiva un passaggio sicuro ai suoi cuccioli, in mezzo a turisti a cellulari accesi, per immortalare, increduli, la scena.
San Sebastiano è “Il posto dell’anima”, celebrato dal regista Riccardo Milani. Una pellicola che quest’anno compie 20 anni e che tramite il volto di Paola Cortellesi, ancora frequentante assidua dei paesi del parco, dove insieme al regista (suo marito) ha anche acquistato casa, ha raccontato un Abruzzo indomito, selvaggio, che ama i suoi animali, simbolo di una regione che ama definirsi verde, proprio per quei boschi in cui vivono gli orsi.
A Villavallelonga i bambini riprendono spesso i passaggi dell’orso. Anche perché l’orso passa per la stradina che attraversa il parco giochi dove loro passano le giornate sulle altalene. Quei video poi però non li mettono su Facebook. Li mandano ai guardiaparco, perché molti di loro sono proprio di Villavallelonga e i guardiaparco sanno come allontanarli, dissuaderli. È il loro lavoro. Sono i guardiaparco che in questi giorni abbiamo visto affranti, che si ritrovano ancora di fronte a una sconfitta che sarà difficilissima da mandare giù. Perché loro agli orsi stanno dedicando tutta la loro vita.
“L’orso l’hanno ammazzato perché volevano ammazzarlo”, dice triste zia Eufemia abbassando lo sguardo.
Villavallelonga è anche il paese dove faceva incursione l’orso Mario. Che poi alla fine finì in una casa del centro mentre la famiglia stava dormendo. Ancora è in corso il processo contro il Pnalm per i danni e lo “shock” provocato da quel plantigrado che andava a trovare la sua amata nell’oasi che la ospitava. E che riuscì a inseguirla anche quando la portarono a Pescasseroli per curarla. Un orso furbo, scaltro e intelligente di cui sono sparite le tracce. In modo inquietante. Che fine ha fatto l’orso Mario? Tanti nella Marsica lo sanno. Ma tutti negli anni sono rimasti omertosi, in silenzio. “Racconti” di paese dicono che è stato ucciso e che salsicce e salami sono stati mangiati e venduti. Un oltraggio alla natura. Un oltraggio a una natura incontaminata e forte, che il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise cerca di proteggere da 100 anni. A quanto pare, però, c’è ancora molto da fare. E poco c’entrano le osservazioni nei post sui social sui “media egoriferiti”, fatte dall’ufficio comunicazione del Parco. La cronaca è cronaca. C’è poco da “egoriferire”.
L’orso è l’animale che vive nelle caverne, è simbolo di introspezione: è potente, è selvaggio, sfida la morte. Nessun altro animale lo spaventa o può ucciderlo: nei rituali antichi, indossare una pelle d’orso equivaleva a diventare un antenato iniziatore super umano. L’orso è il simbolo del nostro Abruzzo e ucciderlo è un atto vile. Spaventoso. Orribile.
A chi oggi pubblica immagini emozionali con l’orsa che piange con su la scritta “l’Abruzzo si prenderà cura dei tuoi cuccioli” oggi più che mai è necessario rispondere: “Uno dei cuccioli di Amarena, Juan Carrito, solo qualche mese fa è morto sulla Superstrada, schiacciato contro un guard rail”. È evidente che bisogna fare di più.
Magari imparando dagli anziani come zia Eufemia. Che con il suo gelato “speciale” ha cresciuto generazioni di marsicani che il loro orso lo amano e lo rispettano.