Avezzano. #ParrocchiaLive continua ad accompagnare la domenica dei nostri lettori. Oggi è il turno del racconto di don Paolo Ferrini della chiesa di San Pio X. Ecco cosa ci ha svelato sulla parrocchia del quartiere avezzanese meglio conosciuto come “Pucetta”.
Il dialogo è alla base delle attività di una parrocchia. Qual è l’approccio che utilizzate per comunicare con i fedeli?
Il nostro è un approccio di tipo personale. Cerchiamo di far arrivare ai fedeli notizie, comunicazioni ma soprattutto vicinanza, stringendo legami che si basino sul contatto diretto, sulla forza e sincerità. Vogliamo farci sentire presenti nei momenti belli e anche brutti della vita delle persone. Per riuscire a fare ciò, ci serviamo di una rete di collaboratori che si trova da anni a stretto contatto con la parrocchia e aiuta a divulgare i nostri messaggi. Anche le metodologie innovative giocano la loro parte: disponiamo, infatti, di un sito internet e abbiamo vari profili social tramite i quali comunichiamo con i parrocchiani. Il dialogo è importante, per questo motivo ci adoperiamo giorno dopo giorno per arrivare al maggior numero di persone e far sentire loro parte della nostra realtà.
Che tipo di rapporto si è instaurato con i giovani?
La relazione con i giovani è un po’ complicata. Il gruppo di ragazzi che frequenta la mia parrocchia conta un numero elevato di componenti per ciò che concerne l’Azione Cattolica, poi la forbice si ristringe. Nonostante ciò, sono giovani con cui si è instaurato un ottimo rapporto, si dialoga bene e riusciamo a coinvolgere loro in numerose attività. Devo ammettere, però, che si tratta di una minoranza; non riusciamo ad arrivare a tutti a causa di difficoltà oggettive che si riscontrano nella maggior parte delle parrocchie italiane al giorno d’oggi.
Al di là delle attività sociali, culturali e di formazione cristiana di cui la parrocchia è promotrice, qual è il carattere identitario che la contraddistingue?
Noi cerchiamo di essere una parrocchia “normale”. Quello che facciamo è interrogarci sulle sfide moderne. Al di là delle attività tradizionali che coinvolgono quotidianamente i fedeli che frequentano la chiesa, ci stiamo sempre più rivolgendo a chi la parrocchia la incrocia solo in alcuni momenti della vita. Vogliamo essere una “carezza a chi ci incrocia”. Cerchiamo cioè di vivere gli incontri occasionali con simpatia, vicinanza, dando una buona parola a tutti. Ad esempio: abbiamo una piccola statua della Madonnina proveniente dal Madagascar che per una settimana viene custodita a casa di una delle famiglie dei ragazzi della parrocchia. Durante questi 7 giorni di permanenza, andiamo a fare visita alla famiglia che la ospita: si tratta di un incontro basato sul dialogo, sulla preghiera e perché no, anche per condividere un caffè in compagnia. Questo è il nostro modo di far capire che ci siamo. E’ una carezza. Un gesto gratuito nei confronti delle persone che incontriamo, senza ricevere nulla cambio. Il nostro atteggiamento si basa sulla vicinanza e soprattutto aiuto concreto a coloro che si trovano in difficoltà economica o in situazioni di instabilità sentimentale.
Qual è la difficoltà più grande che si riscontra nel gestire una parrocchia?
La difficoltà più grande è quella di arrivare a tutti perché c’è molta gente che non frequenta la parrocchia ma, come ho detto prima, la incrocia solo in alcuni momenti. Cerchiamo quindi di sfruttare tutte le occasioni che incontriamo per dialogare e far avvicinare le persone.