Celano. L’adolescenza turbolenta alla scuola alberghiera, la gavetta nei ristoranti italiani e poi la passione della cucina francese che lo ha portato nelle strutture ricettive più esclusive e ricercate in tutta Europa. E non solo.
Prima nella calda luce del sud della Francia e poi nel rigoroso freddo del nord.
È stato un percorso in salita ma la strada si preannuncia quella di un successo fatto, sì, di sacrifici ma anche di uno splendente talento. E si sa, il talento a volte viene proprio da quelle anime più inquiete che agli occhi delle persone comuni sono quelle che sembra non trovino mai un posto nel mondo. Ed eccolo qui, invece, un talento esploso, che ormai non ferma proprio più nessuno.
Alessandro Pecorabianca ha 26 anni. È marsicano, originario di Celano. Oggi è uno chef del ristorante L’Assiette Champenoise, dello chef Arnaud Lellement: una struttura a 3 stelle Michelin all’interno di un hotel a 5 stelle, nella provincia francese Champagne, che dà il nome all’omonimo vino pregiato, apprezzato in tutto il mondo.
È nel secondo rango di uno dei migliori ristoranti al mondo.
Del suo percorso non rinnega nulla, perché se oggi è l’uomo che è, lo deve proprio a quel temperamento un po’ irrequieto e ribelle che lo ha portato poi a trovare la direzione giusta nel suo cammino e soprattutto ad amare ancor più profondamente tutto quello che è riuscito a costruire.
“A scuola all’Aquila ho combinato tanti casini”, racconta al telefono, poco prima di prendere servizio in un ristorante che sembra immerso un paesaggio incantato, protetto da dall’incantesimo di una fiaba, “magari avrei potuto risparmiare qualche preoccupazione a mamma, questo sì”. Si intuisce che sta sorridendo. “Grazie a lei e alla sua perseveranza non mi sono davvero mai perso”.
“La prima esperienza in cucina l’ho fatta a 17 anni. Al ristorante Napoleone ad Avezzano. Eravamo in quattro e facevano numeri assurdi. Nel weekend fino a 300/400 coperti”, va avanti, “lì mi sono fatto le ossa. Mi hanno fatto crescere. Ma dopo due anni e mezzo mi sentivo come se quello che facevo non fosse abbastanza”. Era il 2016.
Alessandro è il figlio di Piero Pecorabianca, titolare di una delle pizzerie storiche di Celano e per questo conosciuta in tutta la Marsica e già da bambino ha avuto modo di vedere con i propri occhi cosa vuol dire lavorare duramente.
Quando gli chiedo se amava la cucina di sua mamma, arrivata in Italia giovanissima dal Venezuela, commenta che l’ha sempre apprezzata ma che la trova più “povera” rispetto a quello che riesce a creare ora.
Da Avezzano la prima valigia lo ha portato a Palazzo Righini, a Fossano, in provincia di Cuneo. Qui la sua prima esperienza in un ristorante gourmet, durata circa due anni. “Feci tutte le partite”, spiega.
Fu in quel periodo che la sera, di ritorno da lavoro, si metteva su youtube e prima di dormire guardava video della cucina francese. “Guardavo le registrazioni di un ristorante di Montecarlo, si chiamava Luigi XIV”.
La cucina francese si è rivelata alla sua curiosità, subito così elegante. Così affascinante, curata. Inimitabile.
Da lì la decisione di trasferirsi in Francia, nella Loira. “Arrivai a Onzain, al primo ristorante stellato Les Hauts de Loire, 2 stelle Michelin. Iniziai come ‘commis di cucina’ e dopo tre anni diventai ‘sous chef junior’”.

Qui però accade qualcosa di inaspettato. Perché la vita non è sempre come vorremmo, ci sono gli inciampi, le cadute e poi le rinascite. E quando il dolore arriva prorompente, non sempre ci trova con gli strumenti giusti per affrontarlo.
Proprio davanti a lui muore, per via di un malore improvviso, lo chef a capo della cucina. Si chiamava Dominique Pépin, aveva 57 anni. Un vero artista, un visionario. Nelle sue interviste raccontava di come prima di realizzarli immaginava e sognava i suoi piatti, per poi renderli arte nella realtà, con tanto di disegno da mostrare. Con l’estro di un architetto e la precisione di un ingegnere.
All’epoca Alessandro ne aveva solo 24 di anni.

All’improvviso la sua voce si fa più incerta. “Era un uomo buono, corretto. Mi ha insegnato che la cucina non è solo un continuo urlare. Era molto calmo, non lo posso paragonare a nessun’altro”, racconta trattenendo a stento l’emozione, “aveva sempre il sorriso ed era sempre di buonumore ma soprattutto parlava con lo stagista con lo stesso tono con cui si rivolgeva a un altro chef suo collega. E poi, anche se qualche volta era giù, non lo dava mai a vedere”.
La morte di Pépin è stata per Alessandro, devastante. “Un giorno ho deciso di rimettermi in gioco tagliando un altro traguardo”.
Arriva così un’altra valigia. Che poi, c’è da dire, che chi vive nel mondo delle cucine internazionali non la chiude mai davvero quella sua valigia.
“Sono andato a Mentone, in Costa Azzurra. Nel migliore ristorante al mondo: 40 cusinier. È il ristorante Mirazu, dello chef argentino Mauro Colagreco”, commenta Pecorabianca, “3 stelle Michelin e una stella verde per la sostenibilità plastic free dal 2024. Qui ho lavorato a ritmi veloci, è stata un’esperienza straordinaria”.
Gli chiedo come i francesi lo hanno accolto nella loro terra: “All’inizio del mio viaggio per la Francia ero preoccupato anche perché non conoscevo la lingua. Ma invece sono stato accolto super bene. I francesi hanno cultura della cucina. Le stelle Michelin vengono dalla Francia e la gastronomia qui raggiunge i livelli più alti. Nelle cucine c’è rispetto”.
Del sud della Francia ha apprezzato tutto, anche il clima mediterraneo che non ha ritrovato ora nel nord. “All’epoca lavoravo molte ore però e non sono riuscito a godere appieno del posto”.
In conclusione: “Cosa ti piace tanto cucinare?”. Di fondo Alessandro rimane umile e anche un po’ timido. E non risponde altro se non un: “Amo cucinare le salse”.
“Dove ti vedi tra vent’anni?”. “Io vorrei continuare sulla strada che aveva pensato per me lo chef Pépin. Ogni volta che avevo un’esitazione mi spronava e mi diceva che dovevo andare avanti e che avrei fatto sempre meglio. Che sarei riuscito. Non dimenticherò mai i suoi insegnamenti. Mi piacerebbe sicuramente tornare lì dove avevo iniziato con lui. Credo che prima o poi lo farò”.