Luco dei Marsi. Numerose sono le leggende nate negli anni sull’omicidio di Francesco Proia. Pochi giorni fa si è celebrato il 71° anniversario della sua morte e, nonostante a Luco fosse conosciuto come Checchino, all’anagrafe si chiamava esattamente come me. Ecco perché ho cercato di ricostruire fedelmente i fatti accaduti quel 6 giugno 1944, giorno che chiuse tragicamente il ventennio fascista nel piccolo paese di Luco dei Marsi.
Francesco Proia, stimato insegnante elementare, durante la guerra fu un partigiano particolarmente attivo. Insieme ai suoi compagni e agli alleati inglesi, gestiva la resistenza abbarbicato sui monti luchesi. Il 6 giugno 1944, giorno dello sbarco in Normandia e due giorni dopo la liberazione di Roma, anche a Luco dei Marsi si festeggiò la fine della guerra. C’era euforia in giro, la banda sfilava lungo la via principale del paese e tutti brindavano alla fine del secondo conflitto mondiale. Gli alleati americani e inglesi concessero 24 ore di libertà nelle quali chiunque avrebbe potuto regolare i conti verso nazisti e fascisti, senza essere processato per crimini di guerra. I partigiani non se lo fecero ripetere due volte e, dopo essere scesi dai loro nascondigli sui monti, passarono casa per casa, requisirono le armi e presero in consegna i fascisti che furono rinchiusi nella scuola elementare in attesa di giudizio. I toni dei festeggiamenti, complice anche qualche bicchiere di troppo, iniziarono a surriscaldarsi e la situazione in giro per il paese degenerò, tant’è che qualcuno propose di giustiziare i fascisti rinchiusi nella scuola. Francesco Proia, fresco di elezione popolare a sindaco temporaneo del paese, usando parole “aspre e dolci” cercò di far ragionare i suoi amici partigiani e provò a dissuaderli dal “portare a termine atti di vendetta covati per anni nel cuore”. Un uomo, che indossava la divisa da sottufficiale, ma che notoriamente da tempo combatteva clandestinamente il regime fascista dall’interno, accusò pubblicamente Checchino che il suo comportamento serviva solo a salvare dalla morte un amico del padre che stavano conducendo nella scuola. L’insegnante cercò di convincerlo dell’inutilità di spargere altro sangue adesso che la guerra era finalmente finita. I toni si surriscaldarono ulteriormente, la situazione degenerò, e l’ultimo atto di quel tragico epilogo avvenne davanti al palazzo comunale: l’uomo, che mitra alla mano aveva già intimato di voler uccidere Francesco Proia, durante la colluttazione fece inavvertitamente partire un colpo. Il fragore attirò l’attenzione di un altro partigiano che uscì dal comune e, senza pensarci due volte, colpì in testa l’uomo che stramazzò al suolo. Sul posto giunse anche Guerrino, fratello di Francesco, che con un colpo di pistola finì l’uomo. Parte dei presenti cercò inutilmente di portare in salvo Checchino, altri, invece, si accanirono contro il cadavere di quell’uomo con la barbarie tipica della razza umana quando si trova in compagnia di una massa di suoi simili. Il suo corpo, conciato malissimo, fu trasportato al cimitero a bordo di un carretto e venne gettato lì, senza ricevere alcuna sepoltura.
Guerrino Proia subì un lunghissimo processo per quell’omicidio, ma grazie ai suoi concittadini che testimoniarono all’unanimità in suo favore e del fratello, ricevette solo una lieve condanna, che in seguito venne condonata dall’amnistia divulgata sotto il governo di Alcide De Gasperi. In ricordo di Francesco Proia oggi esiste una strada a lui intitolata come eroe della resistenza, anche se, come adesso ben sappiamo, non venne ucciso dalla mano dell’oppressore nazista ma, ironia della sorte, cadde vittima proprio del fuoco amico di un suo compagno partigiano. Il suo sacrificio però, scongiurò al paese di Luco dei Marsi l’onta di un eccidio simile ai migliaia avvenuti nel resto d’Italia negli anni successivi alla fine della guerra; crimini terribili di cui si macchiarono una parte degli italiani che con quelle stragi si misero allo stesso livello di barbarie dei loro oppressori nazisti.
Francesco Proia
(ringrazio tutti coloro che, grazie alla loro testimonianza diretta, hanno permesso la ricostruzione dettagliata dell’accaduto)