Avezzano. Cosa avremmo visto il 13 gennaio del 1915 se una troupe televisiva fosse arrivata nella Marsica subito dopo il terremoto, e avesse potuto trasmettere in diretta le prime immagini? È questa la domanda a cui ho cercato di dare una risposta, realizzando il video che vedrete tra poco. Nel filmato ci sono le foto del terremoto del 1915, che tutti noi marsicani abbiamo visto almeno una volta nella nostra vita, ma stavolta non sono in bianco e nero ma a colori, e si animano, come se anziché una rudimentale macchina fotografica i primi soccorritori avessero avuto con loro una moderna videocamera a colori. Com’è stata possibile questa “magia”? L’intelligenza artificiale è stata fondamentale, ma da sola non è ancora in grado di realizzare il video così come lo vedrete. È stato necessario un enorme lavoro manuale di raccolta delle foto, scansione di quelle più rappresentative, che poi attraverso diversi strumenti software sono state portate in alta risoluzione, colorate e infine animate, una per una, scegliendo il miglior effetto possibile a seconda della tipologia di foto. Gli strumenti dell’intelligenza artificiale sono molto potenti, ma ognuno è progettato per svolgere una sola funzione, mentre per realizzare il video che segue è stato necessario usarne diversi, tutti in maniera separata, per poi unirli, allo stesso modo in cui tanti strumenti singoli si fondono in un’unica sinfonia d’orchestra. Dopo mesi e mesi di lavoro, i singoli video sono stati montati tra di loro e infine sono stati aggiunti gli effetti sonori, che hanno amalgamato il tutto.
In questo modo chi osserva il filmato è come se salisse su una macchina del tempo, che ci riporta agli istanti successivi alla scossa, la seconda più forte della storia d’Italia, che cambiò per sempre fisionomia e storia della nostra Marsica. E così insieme ai protagonisti possiamo andarcene in giro per le strade di Avezzano, subito dopo il disastro. Il viaggio è straziante, si procede per quartieri, alcuni più riconoscibili altri meno. Nell’immediato c’è la tragedia, quella in cui i pochi sopravvissuti cercano di recuperare coloro che strillano, intrappolati ancora vivi sotto le rovine. Si scava, spesso a mani nude, tra mucchi di macerie, anzi tra montagne di macerie, visto che siamo in Abruzzo. Chi si è salvato ringrazia il cielo, e cerca di trovare qualche volto amico tra coloro che sono riusciti a sopravvivere all’immane catastrofe.
Superata la fase dell’emergenza, le cose cambiano rapidamente: ci si organizza, ci si rimbocca le maniche e si cerca subito un modo per andare avanti. Come dirà Sergio Marchionne quasi cent’anni dopo “Non ho mai visto un abruzzese arrendersi e aspettare che arrivasse un salvatore da chissà dove a regalargli un domani migliore. Gli abruzzesi cadono e si rialzano da soli, non perdono tempo a lamentarsi, ma fanno, producono, ricostruiscono”. E lo stesso accadde anche ad Avezzano e nella Marsica: chi può da una mano, viene messo in salvo tutto ciò che il terremoto non è riuscito a distruggere, come una coperta o un vecchio mantello, e si cerca di combattere il freddo di quel maledetto inverno del 1915. Dopo qualche ora arrivano i militari, con le loro uniformi color grigio-celeste, che a forza di scavare e recuperare cadaveri, prenderanno presto il colore della morte. Il loro apporto è stato fondamentale, ma durerà poco, perché tra poche settimane verranno richiamati per essere mandati al fronte, a morire nella Grande Guerra.
E mentre gli adulti fanno il possibile per riorganizzarsi e andare avanti, i più piccoli se ne vanno in giro, facendo ciò che fanno tutti quelli della loro età, persino in mezzo alle tragedie, giocano. Giocano per dimenticare di aver perso tutto, a cominciare dalle madri, dai padri e dai fratelli. Giocano tra le chiese squarciate, davanti al castello demolito, e noi li seguiamo tra i palazzi pericolanti e attraverso le prime tendopoli allestite dai militari.
Ci sono cadaveri ovunque: vengono posizionati in mezzo alle strade, davanti a quel che resta dei monumenti, in modo che chiunque possa riconoscerli e magari donargli una degna sepoltura. Sentiamo il lamento straziante di una donna che tra quei corpi ha riconosciuto la figlia. I cadaveri senza lacrime vengono conservati qualche giorno nella neve, per non farli decomporre, poi portati alla stazione di Avezzano e caricati sui vagoni merci, diretti chissà dove. Sui treni sale anche qualche sopravvissuto, i più fortunati, quelli che oltre a salvarsi hanno persino qualche parente in qualche città lontana, e che per il momento potranno rifarsi una vita altrove. Gli altri, quelli costretti ad abitare tra le macerie, si coalizzano, si danno una mano l’uno con l’altro. È vero, i legami familiari ormai appartengono al passato, ma i pochi rimasti si stringono e diventano un’unica grande famiglia, che cerca di andare avanti, nonostante tutto. Le donne sciolgono la neve sul fuoco e cucinano, puliscono, fanno il bucato. Gli uomini fanno a pezzi i mobili e li bruciano nelle stufe improvvisate che hanno montato nelle tende, unica soluzione per non morire di freddo. Poi iniziano a costruire le prime baracche con le tavole: il Comune, una chiesa, una scuola, un forno. Nemmeno la vecchia città esiste più, come scriverà qualcuno qualche anno più tardi, “di essa non restò pietra su pietra”, eppure nella Marsica si va avanti, perché neppure quel terremoto riuscì a piegare la forza e la caparbietà dei Marsi, popolo indomito, che da quel giorno tosto riprese a camminare.
Il video è in formato FullHD, quindi per godere appieno della qualità si consiglia la fruizione dallo schermo di un pc o su una tv, ed è fondamentale attivare l’audio. Buona visione.