Avezzano. Il tribunale di Avezzano venne inaugurato nel 1862 e la prima sede sembra che sia stata l’ex convento di San Francesco, di fianco l’omonima chiesa. Successivamente venne trasferito in un edificio che sorgeva dove oggi si trova Palazzo Mancini, nei pressi di piazza Torlonia, per poi essere spostato nel castello dei Colonna fino al 13 gennaio 1915. Dopo il terribile terremoto che rase al suolo l’intera città, nel 1917 venne progettato il nuovo palazzo di giustizia, quello che vediamo ancora oggi, che venne costruito nell’attuale posizione tra il 1922 e il 1931, andando a sostituire una costruzione prefabbricata in cui gli uffici giudiziari continuarono a lavorare nell’immediato post-terremoto. Oggi la struttura è cambiata abbastanza ed è stata ammodernata per far fronte alle esigenze di un tribunale moderno, ma in un angolo del cortile interno della struttura è ancora possibile vedere due statue a forma di aquila, risalenti proprio a quegli anni. Il tempo le ha logorate, ma è ancora possibile raccontare la loro storia attraverso gli stemmi che vi sono sopra raffigurati. Su quella di destra c’è la croce sabauda, simbolo della famiglia Savoia, che prima di essere sostituita nel 1946 dall’emblema della Repubblica Italiana, è stata per tanti anni il simbolo ufficiale del Regno d’Italia. Ma è sull’altra che vorrei spostare l’attenzione, quella che riporta il simbolo del fascio littorio. A mio avviso, infatti, questa vicenda presenta numerose analogie con quella della rimozione dei fasci littori dal teatro di Lanciano di qualche settimana fa, in cui attraverso una raccolta firme e con il beneplacito della soprintendenza, sono stati rimossi i fasci littori presenti sulla facciata del Fenaroli. A questo punto mi sento di lanciare una provocazione al nuovo sindaco e al presidente dell’ordine degli avvocati: tra le tante e tutte lodevoli iniziative volte a tutelare il nostro tribunale, perché non restaurare e rimettere al loro posto quelle due statue? La difesa del nostro passato, in fondo, non è importante almeno quanto quella del nostro futuro? @francescoproia