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Terrorismo e jihad: la storia insegna…la parola ai ragazzi del Liceo Scientifico

Redazione Attualità di Redazione Attualità
7 Marzo 2016
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Avezzano. Gli attentati di Parigi del 13 novembre scorso, più di altri, più di quello alla sede di Charlie Hebdo – avvenuto all’inizio del 2015 – più delle atroci decapitazioni sul web, hanno puntato l’attenzione sulla rapida ascesa del califfato che in poco tempo è riuscito ad attrarre tantissimi giovani da ogni parte del mondo. Si ritiene che i ragazzi aderenti a quest’organizzazione siano spinti dal desiderio di sentirsi parte di un gruppo e di cercare la propria identità, ignari di ciò cui andranno incontro. L’Isis si sta mostrando abile nel promuoversi via Internet grazie al quale è possibile mettersi in contatto direttamente con i reclutatori jihadisti iraniani e siriani. Sembra che alla base di queste barbarie vi siano degli interessi politici e geopolitici, nascosti dietro motivi religiosi. Un conflitto di interessi che è esploso anche alla luce del recente episodio che ha visto la tortura e la morte di Giulio Regeni in Egitto. Una morte oscura le cui dinamiche sono tutt’altro facili da capire. Abbiamo provato a interpretare quello che accade oggi in Medio Oriente partendo da molto lontano, una prospettiva storica che parte dalla situazione siriana. Fin dal tempo dei Sumeri e dei Babilonesi la zona che si conosce come Medio Oriente è stata considerata la culla della civilizzazione, non a caso è proprio qui che nascono le principali religioni monoteiste ovvero giudaismo, pag6cristianesimo e Islam. Ad esempio, l’attuale Siria è stata ed è tuttora una zona strategica che collega tre continenti (Europa, Africa e Asia). Non a caso, la Siria è sempre stata sotto il dominio degli imperi più imponenti, tra cui quelli persiano, greco e romano. Fu proprio quando quest’ultimo si divise che l’Islam iniziò a costruire il suo impero. Ciononostante, il “popolo europeo” cercò di recuperare quella che fu “la culla della civiltà”, ne sono un esempio le crociate. Dopo queste battaglie fu la volta dei Turchi di penetrare nella zona: riuscirono a conquistare tutto e fondare anche qui l’impero ottomano che riuscì a resistere fino alla fine della prima guerra mondiale. Venne sradicato soprattutto grazie a Edward Laurence, detto anche Laurence d’Arabia, che convinse la popolazione araba che si trovava all’interno dell’impero a rivoltarsi contro il potere promettendo loro un sogno: la Grande Arabia. I ribelli erano arabi mentre a governare questo grande territorio erano i Turchi ottomani, per cui Laurence fece leva su queste differenze culturali in modo da convincere gli abitanti. Successivamente, agli inizi del ‘900, questa zona venne divisa in vari stati che vennero spartiti sotto l’influenza di Francia e Inghilterra. Queste zone erano infatti ricche di risorse, in particolare di petrolio. I due Paesi europei, però, dovettero lasciare l’area dopo la seconda guerra mondiale. La loro politica internazionale non impedì la formazione dello stato di Israele, comunque malvisto dai Paesi vicini. Fu proprio in questo periodo che in Siria iniziarono a verificarsi continui colpi di stato. In aggiunta a ciò, si diffuse un ideale che si estenderà successivamente in tutto il mondo arabo: il “Ba’th”, che mescola il sogno di un’unica nazione con idee socialiste. Il pensiero è però di natura laica e non religiosa. Il “Ba’th” fa sì che la Siria si unisca con l’Egitto. Anche se l’unione poi fallisce, l’accordo rimane e spinge la Siria a nazionalizzare il petrolio. In questi anni il sovrano siriano era Al Hassad, uno sciita. Bisogna specificare che l’Islam si scinde in due rami, quello sunnita e quello sciita che, nonostante sia meno diffuso, è la “religione del potere” poiché professata dai capi di stato. Questo irrita i sunniti, i quali reagiscono con la violenza nei confronti del governo. Gli scontri continuano fino al 2000, anno in cui il figlio dell’ex sovrano prende il potere.  A questa politica si presentano però oppositori e in aggiunta George W. Bush isola la Siria, inserendola nel fantomatico “Asse del Male”. Pochi anni dopo, nel 2011, si diffonde un movimento volto a portare in queste aree maggiori istanze democratiche: la Primavera Araba che, arrivando in Siria, porta però numerosi scontri che sfoceranno in una guerra civile. Ancora oggi la Siria è divisa in diverse fazioni, tra le quali distinguiamo il Governo ufficiale, l’opposizione e gli islamisti radicali, famosi per la loro violenza: Al Quaeda e Isis sono i movimenti più conosciuti. Questi ultimi, controllano la maggior parte della Siria. Gli scontri, però, non si limitano all’interno dello Stato, anzi, si espandono nelle nazioni considerate “nemiche” in nome di una guerra considerata “giusta e legittima” contro gli occidentali. La natura di questa mentalità non è nuova all’uomo, infatti è molto simile al pensiero degli europei durante la Grande Guerra che motivava l’astio tra i vari Stati sulla base di una paura reciproca. Anche durante il Ventennio fascista, Mussolini instaurò un pensiero analogo con la riforma Gentile del 1923 rivolta ai più piccoli. Questo “modo” di imporre un pensiero è l’immagine del Metus Hostilis di Sallustio, tradotto come “timore del nemico”, timore del diverso. Ad aggravare la situazione c’è anche un altro aspetto, legato alla parola “jihad”. Questa parola, presente nel Corano, viene interpretata in due modi. Letteralmente il significato della parola è “sforzo”, come ad indicare uno slancio per raggiungere un determinato obiettivo che può fare riferimento a un impegno individuale e spirituale per migliorare se stessi (jihad interiore o grande jihad); oppure può essere inteso come uno slancio per espandere l’Islam al di fuori dei confini del mondo musulmano (jihad esteriore o piccolo jihad).
Giuro in Colui che nelle mani trattiene l’anima di Maometto che farà entrare in Paradiso chiunque oggi li [i nemici] combatterà e sarà ucciso soffrendo nella dura prova e ricercando il piacimento di Allah, procedendo e non retrocedendo».
Non è chiaro a cosa si riferisce il “combattere” di Maometto, infatti la parola jihad assume altre connotazioni. Per le donne infatti è un pellegrinaggio alla Mecca. Alcuni lo interpretano invece come una protezione della famiglia, come ordinò di fare lo stesso Maometto a un ragazzo, anziché unirsi a una campagna militare.
Noi occidentali consideriamo la parola jihad come “guerra santa”, generalizzando il termine soltanto ad una interpretazione negativa del termine. Questa parola ci intimorisce, ci fa arrabbiare. Ma generalizzare senza capire ci  riporta di nuovo a un “metus hostilis del 21esimo secolo”. Una risposta armata alle minacce jihadiste non rappresenta l’unica soluzione. Purtroppo, una paura insensata sta frenando noi occidentali, la paura di un demone che non si trova nel popolo che combattiamo, si trova dentro di noi, e soltanto noi possiamo sconfiggerlo. La battaglia sarà anche dura, ma alla fine, quando tutti quanti arriveremo sul tetto del mondo, potremo finalmente gridare il nostro motto.
Edoardo Pagliaroli, Annalisa Hagi, Alberta Di Renzo, Ilaria Cordischi, Nuri Xhelili*
(consulenza storica del professor Massimiliano Amicarella)

**articolo pubblicato su Yawp, giornale scolastico del Liceo scientifico Marco Vitruvio Pollione

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