Cassino. Serena Mollicone, omicidio senza colpevoli. La diciottenne, scomparsa da Arce (Frosinone) il 1° giugno 2001, fu rinvenuta senza vita tre giorni dopo, nel boschetto di Fonte Cupa ad Anitrella, in una zona già ispezionata il giorno precedente. Il corpo era supino in mezzo agli arbusti, coperto con rami e fogliame, celato dietro un contenitore metallico abbandonato. La testa presentava una vistosa ferita in prossimità dell’occhio sinistro ed era avvolta in un sacchetto di plastica. Le mani e i piedi erano legati con nastro adesivo e filo di ferro. Il nastro adesivo avvolgeva anche naso e bocca, tanto da legittimare l’ipotesi della morte per asfissia. Nel settembre 2002, la procura di Cassino iscrisse nel registro degli indagati il carrozziere Carmine Belli di Rocca d’Arce, prosciolto da ogni accusa dalla Cassazione nel 2004.
Il 24 luglio 2020, è stato disposto il rinvio a giudizio dell’ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce Franco Mottola, della moglie Annamaria, del figlio Marco e dei due carabinieri Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano, con l’accusa, a vario titolo, di concorso in omicidio volontario, occultamento di cadavere, istigazione al suicidio e favoreggiamento.
Ora sono state depositate le motivazioni della sentenza della Corte d’Assise di Cassino che, lo scorso 15 luglio, ha assolto tutti gli imputati. Secondo il provvedimento, “alcuni tasselli sostenuti dall’accusa si sono rilevati inconsistenti” e, nel corso del dibattimento, “sono emersi elementi” a favore della difesa.
Le motivazioni sono state redatte dal presidente della Corte d’Assise, Massimo Capurso e dal giudice a latere, Vittoria Sodani, in un faldone di 236 pagine. “Gli esiti dibattimentali non offrono indizi gravi, precisi e concordanti sulla base dei quali possa ritenersi provata, oltre ogni ragionevole dubbio la commissione in concorso da parte degli imputati della condotta omicidiaria contestata” scrivono i giudici. “Come già ampiamente esaminato”, si legge nelle motivazioni, “numerosi elementi indiziari, costituenti dei tasselli fondamentali dell’impianto accusatorio del pm, non sono risultati sorretti da un sufficiente e convincente compendio probatorio.”
La Corte comunque ritiene “acclarato che Serena Mollicone è stata vittima di una condotta omicidiaria commessa da una o più persone, estrinsecatasi in una prima azione lesiva, consistita in un’azione contusiva alla testa, nella zona sopraccigliare sinistra, a seguito della quale la giovane ha riportato un trauma cranico, produttivo di perdita di coscienza”. La giovane, si legge, è dunque “con ogni probabilità deceduta per asfissia meccanica da soffocazione esterna diretta, probabilmente attraverso l’ostruzione delle vie aeree con il nastro adesivo e la chiusura del capo con il sacchetto di plastica. Non possono essere del tutto escluse ipotesi alternative in ordine alle modalità con cui sia stata provocata l’asfissia e che solo post mortem il volto sia stato avvolto con il nastro adesivo rinvenuto.”
In tema di dinamica degli eventi, secondo l’accusa la giovane sarebbe stata uccisa da un violento impatto contro la porta della caserma di Arce. Ipotesi non comprovata dalle perizie che, rimarcano i giudici, hanno sollevato seri dubbi sulla compatibilità di un impatto del genere con le ferite riscontrate sul volto e sulla testa della malcapitata. “Si ritengono convincenti”, scrivono, “le critiche formulate dai consulenti medico legali delle difese, i quali, valorizzando la prima consulenza tecnica della dott.ssa Conticelli, hanno sostenuto l’incompatibilità tra il quadro lesivo presentato da Serena e l’impatto contro una superficie piatta e ampia (come una porta, appunto): ciò in particolare in assenza di altre lesioni, che siano oggettivamente indicative di una colluttazione, nonché dell’afferramento e della violenta spinta della vittima contro la porta.” Per i giudici, peraltro, “l’ipotesi dell’impatto della testa di Serena contro la porta non si ritiene neanche univocamente dimostrata dalle consulenze merceologiche e genetiche.”
Le ”impronte dattiloscopiche” rinvenute ”all’interno dei nastri adesivi che legavano le mani e le gambe di Serena” sono ”ritenute utili per l’identificazione” e tuttavia, si legge nella sentenza, ”non appartengono agli imputati”. ”Su un’impronta” in particolare, ”risulta inoltre essere stato rinvenuto un profilo genetico misto con contribuente maschile, di cui è stata esclusa la paternità degli imputati.”
Si rileva inoltre “il rinvenimento sui pantaloni e sugli scarponcini di Serena di tracce di Lantanio e Cerio, riconducibili a una polvere a base di ossidi di cerio, utilizzata come polish, con cui la stessa dovrebbe essere venuta in contatto quando era già in posizione supina, così assumendo una connotazione indiziaria particolarmente rilevante nella ricostruzione della dinamica delittuosa.” ”Vale la pena osservare”, considera il provvedimento, “come secondo la consulenza merceologica effettuata il polish è un prodotto che viene in specie impiegato nell’ambito dell’edilizia per la lucidatura di marmi, vetri e specchi posti in opera e nelle carrozzerie per l’eliminazione di graffi da parabrezza e fari. Contesti rispetto ai quali non è stato provato alcun collegamento con gli imputati.”
”Non si ritiene sussistente”, dunque, “un quadro indiziario consistente, univoco e convergente che consenta di ritenere provata, oltre ogni ragionevole dubbio, la commissione in concorso, da parte degli imputati Franco Mottola, Marco Mottola e Anna Maria Mottola, del delitto di omicidio contestato”, per cui si impone, ”una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto.”
Non risultano inoltre comprovati molti degli “asseriti depistaggi che secondo l’accusa il maresciallo Mottola avrebbe compiuto in sede di prime indagini.” Dalla stessa istruttoria dibattimentale, prosegue la Corte, “sono emerse delle prove che si pongono in termini contrastanti rispetto alla ricostruzione dei fatti da parte della pubblica accusa.” “Ci si riferisce in primo luogo agli ordini di servizio della stazione di Arce” dei quali “non solo non è stata provata la falsità ma sono emersi numerosi elementi probatori di segno contrario, che inducono a ritenere, sulla base delle risultanze e valutazioni già svolte, che i citati servizi esterni siano stati effettuati dai militari interessati.”