Gioia dei Marsi. L’evento, organizzato dal Centro Romanesco Trilussa di Roma in collaborazione con la Pro Loco e il Centro Anziani di Gioia, avrà luogo Domenica 13 aprile alle 16.00 nel Centro Culturale Moretti, e sarà sicuramente un appuntamento da non perdere. Utilizzare ancora il dialetto nel dialogo e nella scrittura può apparire un fenomeno anacronistico in un mondo che si va sempre più trasformando in un villaggio globale e che vede i vocaboli di alcune lingue, come l’inglese, sostituirsi gradualmente a quelli delle lingue nazionali. Se poi, tra i tanti dialetti ancora vivi in Italia, viene preso in esame il romanesco, un vernacolo mai codificato e utilizzato per secoli solo dai ceti sociali più bassi, le perplessità dei linguisti nei confronti di coloro che ancora se me servono possono apparire più che giustificate. Proprio a causa delle sue origini proletarie, il romanesco è, infatti, l’unico, tra i tanti linguaggi locali fioriti nella nostra Penisola, ad essere definito con un appellativo differente da quello di chi lo usa. Toscano, sardo, genovese, veneziano indicano indistintamente sia il nativo di queste città o regioni, sia il linguaggio con il quale egli si esprime. Toscano, sardo, abruzzese e veneziano indicano indistintamente sia il nativo di queste regioni, sia il linguaggio con il quale egli si esprime. L’unica eccezione è rappresentata dalla Città Eterna: il nativo di Roma è detto romano, il suo dialetto, invece, romanesco. La presenza del suffisso esco, dal palese intento spregiativo, è una chiara testimonianza di come, per secoli, il dialetto di Roma sia stato parlato solo dalle classi inferiori della popolazione. Nel suo De vulgari eloquentia Dante Alighieri, riferendosi alla lingua parlata a Roma nel Trecento fece questa osservazione “Dico che quello di Roma non è un volgare ma un turpiloquio (tristiloquium), di sicuro la lingua più brutta tra quelle d’Italia”. Non per nulla il romanesco discende direttamente dal latino corrotto e alterato usato quotidianamente, come base comune per poter dialogare tra loro, dalle centinaia di migliaia di immigrati, approdati nella Roma dei Cesari da ogni angolo dell’Impero Romano. In ogni caso il vernacolo di Roma, con i suoi proverbi e modi di dire, viene ancora parlato nella Città Eterna, anche se in forma sempre più annacquata. Le tradizioni linguistiche dell’Abruzzo hanno, invece, origine sabellica. Questa lingua sabella, che fu la prima a fondersi con il latino dei conquistatori romani, non ha mai posseduto un carattere unitario avendo nei secoli subito anche influenze marse, peligne, e merrucine. E’ una parlata che, comunque, si mantiene viva e che da alcuni anni è stata riscoperta e attentamente studiata da illustri linguisti. In tutti i dialetti italiani, compresi quelli romaneschi e abruzzesi, è stata ultimamente registrata una costante crescita del loro uso anche nella scrittura, avendo gli ambienti culturali preso atto del graduale processo di trasformazione del vernacolo da lingua della realtà a lingua letteraria e poetica. Per chi è nato e cresciuto in mezzo al popolo e non dimentica che il dialetto era quello che si parlava quotidianamente in famiglia o con gli amici, fermarlo sulla carta rappresenta un utile espediente per conservare la memoria di tante persone care che non ci sono più e per respirare ancora l’atmosfera di quel mondo a misura d’uomo che va scomparendo. La qualità sempre più alta della poesia dialettale si deve al fatto che gli autori hanno abbandonato da tempo i temi minimalisti e non si muovono più alla sola ricerca del colore locale, ma hanno deciso di misurarsi con le complesse problematiche del mondo moderno. Per tutti costoro il vernacolo altro non è che uno strumento raffinato di esercizio linguistico, con espressioni, suoni, forme metriche e uso dei neologismi che permettono di praticare una intensa ricerca introspettiva. Le loro voci sono genuine e rinsanguano la lingua italiana, impoverita dalla nostra pigrizia, dal nostro snobismo e dal nostro uso troppo disinvolto dei vocaboli stranieri. Nell’ambito delle sue attività, il Centro Romanesco Trilussa di Roma, che da quasi mezzo secolo si batte per la conservazione e la diffusione delle tradizioni e dei dialetti locali e del romanesco in particolare, ha inserito nel calendario dei suoi appuntamenti culturali con altre associazioni, un incontro con i poeti e i musicisti aquilani e marsicani a Gioia dei Marsi. Nel corso di questa riunione, insieme all’ascolto dei componimenti dei poeti dialettali presenti, verranno rievocate importanti figure poetiche del passato che con i loro versi hanno nobilitato il dialetto abruzzese, come Dario e Cesidio Di Gravio, Walter Cianciusi e Romolo Liberale. Saranno, inoltre, ricordati anche i poeti abruzzesi che si sono distinti nella poesia romanesca, a partire da Nazzareno De Angelis, affermato tenore aquilano, Amerigo Giuliani di Rosciolo, autore del popolare monologo “Er fattaccio”, Giuseppe e Ascenzio De Angelis, e Domenico Jannucci di Poggio Cinolfo.