Avezzano. Il titolo è provocatorio, è bene precisarlo. Anche se, per male interpretarlo, occorre una certa dose di fantasia. Lontano da pre-giudizi aprioristici e quindi da frettolose conclusioni, appare evidente come sia altresì lapalissiano affermare che la salute abbia priorità assoluta sulle festività natalizia. Tanto per il singolo individuo, quanto per la collettività. Sarebbe di per sé sufficiente citare l’articolo 32 della Costituzione italiana per rivendicarne la priorità nella scala delle gerarchie umane e istituzionali e per fugare ogni ragionevole dubbio circa le intenzioni del suddetto articolo.
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Ma se è vero, come è vero, che le opinioni sono personali e che ognuno ha le proprie, è altrettanto veritiero sostenere che anche i valori sono profondamente soggettivi e quindi opinabili. Escludere la possibilità che esista chi ponga le festività natalizie di fronte alla tutela della salute potrebbe essere esagerato ma non del tutto sbagliato. Questione di priorità, appunto. Ma il concetto di tutela andrebbe in quel caso a collimare (e non di poco) con la sua finalità che, a scanso di equivoci, è quella del bene comune.
Le quali priorità, però, devono confrontarsi con la realtà: niente feste allargate, niente assembramenti nei negozi o fuori da essi, niente maxi raduni e niente strade affollate di turisti, acquirenti, cittadini e chi più ne ha più ne metta a far sembrare tutto normale. Persino la messa della mezzanotte della Vigilia è appena alle novità dell’ultimo minuto.
Quest’anno, di normale, c’è ben poco.
Attualità alla mano, c’è chi vorrebbe mettere da parte il periodo storico che stiamo vivendo per declinare al passato le misure atte a contenere il contagio da coronavirus in favore di una maggiore libertà negli spostamenti e nella possibilità di godere appieno dell’imminente ricorrenza. L’Abruzzo, in particolare, districandosi tra fatiche di vario genere e lungaggini imputabili al calo della curva epidemiologica ma anche alle note vicissitudini burocratiche che ingloriosamente lo hanno proiettato su tutti i rotocalchi nazionali, prova a uscire dal periodo nero passando attraverso zone rosse e arancioni in egual misura.
Se poi, ai colori delle fasce di criticità, si sommano quelli delle allerte meteo, il rischio di confusione è ancora più diffuso. E pericoloso.
L’Italia arriva all’appuntamento natalizio ferita da una pandemia che ha devastato gran parte della sua economia nazionale. Tra chiusure definitive, chiusure parziali e attività stagionali sospese, il settore è in profondo rosso (per restare sulla scelta dei colori). I prossimi mesi saranno complessi, specialmente se i numeri dei contagi torneranno a salire dopo la fine di dicembre, come è previsto. Prima di arrivare alla primavera inoltrata, quando l’arrivo delle alte temperature potrebbe dare una mano a sconfiggere – per lo meno in via temporanea – il virus, ci sarà da faticare sul serio. Poi sarà la volta di rimboccarsi le macchine. Il tutto sempre con le attenzioni (e le speranze) rivolte alla corsa al vaccino.
Per un’economica claudicante c’è una socialità sempre più a pezzi.
L’arrivo delle festività natalizie coincide con le giornate trascorse in famiglia, con le tavolate allargate a pranzo e a cena, con i conviviali atti a rivedere vecchi amici e lontani parenti e con i festeggiamenti per la fine dell’anno che tendenzialmente rappresenta il momento di un nuovo inizio. Il 2020 ha molto da farsi perdonare in effetti e l’idea di non poterlo salutare come tradizione ci ha abituati scalfisce non poco un umore già provato da isolamenti e contatto stretto con sofferenze di vario genere, siano esse sanitarie o economiche. Non è stato un anno facile per nessuno e tutti, chi più chi meno, ne siamo stati vittime.
Nella sua “Politica” Aristotele sosteneva che l’uomo è un “animale sociale“, poiché tende per necessità ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società. Un istinto primario e imprescindibile. Che ora, però, è a rischio. La primavera, dopo le riaperture estive, è stata vissuta come una dolorosa parentesi da provare a lasciarsi al più presto alle spalle. E’ stata un’illusione. Da settembre in avanti è tutto cambiato nuovamente – e in peggio – e stavolta il periodo da vivere sospesi in attesa della normalità e di un ritorno alle abitudini passate è più lungo. Non ci si può abituare all’isolamento forzato. E’ contro natura e contro necessità. Questo è inequivocabile.
Almeno lasciateci festeggiare il Natale. Lasciateci vivere ore di normalità.
Il giro continuo di DPCM, consigli e “forti raccomandazioni” su come comportarsi era – ed è – abbastanza controverso. Lasciando da parte l’indirizzo sul rispetto di un metro e mezzo di distanza a tavola che si commenta da solo, ma è davvero necessario giustificare tutto come “necessità”? Qualsiasi linea guida stia uscendo fuori in questi giorni è giustificata e dettata dalla “tutela della salute o del bene comune”. Insomma, anche a casa nostra è “fortemente raccomandato di limitare…”.
Lasciando ulteriormente da parte il qualunquismo scadente e il populismo più becero, se davvero si volesse “responsabilizzare i cittadini” a un maggior rigore e rispetto di norme di comportamento (anche casalingo), non sarebbe più utile rimettersi alla loro intelligenza evitando questo approccio patriarcale da maniaci del controllo? Per continuare ad allontanarci gli uni dagli altri, stiamo perdendo le nostre abitudini e i nostri modi di vivere, con effetti psicologici devastanti. Che non si strumentalizzino le paure. Che si faccia leva sulla collaborazione delle persone. Che si agisca in modo congiunto e, soprattutto, più lineare.
Foto: Primo Chef