Da ingegnere, sono sempre stato affascinato dai numeri: i numeri non mentono mai. Allora, se in un paesino di 2.500 abitanti scollegato da rotte turistiche consolidate, esiste un luogo di ristorazione – “luogo”, inteso nella sua definizione più generale di “spazio che ha una certa identità, funzione o significato, sia fisico che concettuale” – che da anni fa registrare serate “sold out”, in ogni stagione e senza soluzione di continuità, un motivo (o magari, più d’uno) vi sarà…
Questo “luogo” si chiama Osteria Futuro, ed è l’avventura, fisica ed emotiva, di tre soci: Mario Iacomini, Giuseppe Verrecchia e Vincenzo Nuccitelli. Il primo è la mente creativa, il “cuoco custode”; il secondo è l’artefice di lievitati e pizze semplicemente pazzeschi; il terzo, con la sua pazienza e l’innata capacità di far star bene la gente, funge da collante universale. E poi c’è lo staff, a partire da Tomas “Sciumi” Di Rocco, carattere esuberante e simpatia travolgente, che potrebbe tranquillamente diventare il personaggio di un fumetto d’autore.
Nascosta tra i vicoli di Scurcola Marsicana, l’Osteria Futuro si sviluppa all’interno di un antico palazzo nobiliare, su due piani: il piano terra, articolato in diversi ambienti e con un capiente dehors esterno, è quello più propriamente dedicato all’offerta ristorativa; quello superiore, a cui si accede da una scalinata ornata di statue che ti proietta indietro nel tempo, offre uno spazio multifunzionale, dove i giovani del luogo spesso si radunano, in serate conviviali che fungono da nutrimento per il corpo e per la mente.
Varcata la soglia, capisci subito che sei in un posto speciale, diverso, che ti predispone ad un viaggio multisensoriale. Ogni angolo del locale racconta una storia, con oggetti e dettagli che richiamano una tradizione che si è scelto di preservare con cura, come se fossero frammenti di memoria. Insegne luminose, articoli di modernariato, sculture, opere d’arte contemporanea, che sembrano buttati lì a casaccio, ma che invece hanno un ben precisa collocazione e funzione.
L’ambiente crea un’introduzione perfetta a una proposta culinaria unica nel suo genere, che parte dai sapori autentici di una cucina contadina d’altri tempi, per esaltare in maniera creativa i prodotti del territorio. Molte delle materie prime che finiscono in tavola, sono ottenute da piccole coltivazioni o allevamenti gestiti direttamente dai tre soci. L’idea alla base della cucina è frutto di un progetto di ristorazione innovativo – che tale era già 25 anni fa, e che continua ad essere in anticipo sui tempi – difficile da sintetizzare in poche righe, ma di cui si possono intuire le ragioni profonde leggendo la dichiarazioni d’intenti che Mario Iacomini ama ripetere da anni: “Il nostro è un impegno costante per la salvaguardia della biodiversità abruzzese attraverso una cucina piacevole, sana e sostenibile“.
All’Osteria puoi scegliere due percorsi principali. Se ami la pizza, semplicemente non c’è storia col resto dell’offerta in zona (fatte forse un paio di eccezioni…). L’impasto è ottenuto da mix di farine ottenute da grani antichi (esperienza iniziata oltre 20 anni fa alla Cantina del Brigante a Tagliacozzo, insieme a Fabrizio Valente, agricoltore vero di Villa San Sebastiano), ottenuto con una lievitazione magistrale, cotto in maniera da risultare leggero e consistente allo stesso tempo. Guarnizioni e condimenti sono ricavati, manco a dirlo, da prodotti rigorosamente di territorio, sia nelle versioni più classiche e semplici, che nelle proposte più azzardate, con accostamenti inconsueti che stimolano papille gustative e fantasia.
Se vuoi invece sperimentare piatti che non troverai da nessun’altra parte al mondo (a partire anche dai nomi: cercate in rete un menù e capirete…) allora devi affidarti all’estro creativo di Iacomini. La sua è una cucina di istinto e fantasia, fatta di proposte non replicabili, sotto certi punti di vista sicuramente “strambe”, ma che hanno dietro uno studio teorico profondo e una serie maniacale di prove e tentativi, come insegnano i principi della ricerca scientifica. I suoi piatti non sono mai banali e combinano decine di ingredienti, che lui assembla alla ricerca del giusto equilibrio di sapori, con risultati spesso sorprendenti e sicuramente originali. Piatti che, a completamento dell’esperienza, sono raccontati in maniera divertente e stimolante, quando Iacomini mette in scena il suo passato di attore teatrale e colto menestrello.
Un personaggio, Iacomini, da sempre in anticipo sui tempi: da lui ho sentito per la prima volta nominare alcuni concetti – grani antichi, erbe “madri”, ristorazione di custodia… – che poi alcuni nomi importanti della cucina hanno fatto propri e sdoganato verso il grande pubblico. Concetti e progetti che ha documentato con una produzione sconfinata audio/video/testuale, diffusa su decine di piattaforme. È successo, ad esempio, anche nel vino, argomento di cui capisce poco, per sua stessa ammissione: ragionando sui sapori, vent’anni fa mi disse “bisogna passare dai vini tondi, ai vini crudi”, che era un modo per dire che la cucina aveva bisogno di vini più “dritti”, acidi, verticali, sostanzialmente diversi dal modello estrattivo, muscolare e tendenzialmente dolce che andava di moda allora. Cosa che poi, come altre di quelle da lui preconizzate, è puntualmente accaduta… Relazionarsi con Iacomini non è semplice. Anche il suo modo di comunicare non è banale: ama giocare con le parole, così come fa con gli ingredienti. Il suo messaggio è articolato su molteplici livelli di senso: richiede tempo e concentrazione per una corretta decodifica, col rischio di perdere di efficacia in un contesto diffuso che ha perso la pazienza e la voglia di approfondire. Ma anche questo, a ben pensarci, è perfettamente coerente col tutto…
(disclaimer: le prime due foto sono state prese dal web o da pagine social connesse al locale – saranno rimosse nel caso l’autore dovesse manifestarne la volontà)