Fotoservizio di Antonio Conte
Cocullo. Dopo oltre tre secoli, cambiano giorno le celebrazioni della festa di San Domenico, patrono di Cocullo, con il rito dei Serpari: lo spettacolare corteo che ieri ha richiamato oltre 20mila turisti da tutto il mondo. Lo spostamento della festa – saltata solo nel 2009, a causa del terremoto – e’ stato deciso in Consiglio comunale dopo una riunione pubblica con il parroco. La festa di San Domenico di Sora Abate (nato a Foligno e morto a Sora circa mille anni fa, patrono delle odontalgie), altrimenti detta “Festa dei Serpari” ha visto il paese invaso da migliaia di persone: fedeli in pellegrinaggio, semplici visitatori, studiosi di antropologia, fotografi, provenienti da ogni parte d’Italia e dall’estero. La religiosità si manifesta in modo particolare con l’offerta di serpi al protettore San Domenico Abate, incoronato, per la processione nelle strade del paese, dai “serpari”, cioè da alcuni cocullesi che, appena dopo il disgelo, quando il tepore primaverile incomincia a scaldare la terra, secondo tradizione, conoscendo il segreto per rendere inoffensivi i serpenti con il suono del corno, si recano sulle falde dei monti vicini per catturare le serpi che saranno le “accompagnatrici” del Santo durante la processione.“…Fermati, serpe, perché devi servire per la festa di San Domenico!” intimava Simone ad un ofide che gli attraversava la strada un giorno del mese di aprile del 1768. Leggendo questo episodio riportato in un libello dell’epoca, si può avere l’impressione che sia molto facile catturare i serpenti. In realtà non è cosi. La maggior parte delle volte, infatti, dopo aver battuto palmo a palmo la campagna, si rischia di ritornare a mani vuote. La caccia si svolge fino al giorno precedente la festa, nel giorno della vigilia detta “festa piccola” o “Santa Maria”, giorno in cui si commemorano ufficialmente i caduti. Quattro sono le specie di serpi utilizzate nel rito di Cocullo: Il Cervone, che è l’esemplare più grande; può raggiungere e superare i due metri di lunghezza; è il più raro e il più difficile da catturare. Il Saettone, detto comunemente “lattarina” o “pastoravacca”, in seguito alla falsa credenza che sia in grado di cingere le zampe delle mucche per non farle muovere e di succhiarne il latte. La biscia dal collare, che vive nelle zone umide, famosa perché attua una tecnica di autodifesa molto particolare, quella di fingersi morta al momento della cattura. Il Biacco, detta anche serpe nera, è la più vivace ed è aggressiva. Si tratta comunque di specie innocue; i loro morsi, infatti, provocano solo una lieve irritazione della parte offesa, senza procurare conseguenze. Una volta catturate vengono custodite con estrema cura fino al giorno della festa. Un tempo si riponevano nei recipienti di terracotta; attualmente vengono tenute dentro apposite cassette di legno. Questa festa è certamente l’avvenimento religioso più noto di tutto l’Abruzzo. Il patronato del Santo, al quale si attribuisce un miracoloso potere contro i morsi dei serpenti, si giustifica con un episodio narrato in “Vita e morte del beato Domenico di Sora”, scritto da Giovanni, suo discepolo e compagno delle sue peregrinazioni. Egli narra che «un giorno il priore di Montecassino mandò al monastero di San Bartolomeo parecchi pesci in dono. Poco prima di arrivare i frati decisero di nascondere quattro fra i più belli e grandi in una cavità della roccia per poi riprenderseli al ritorno. Il Santo dopo averli baciati li invitò a pranzare insieme a lui e ai suoi confratelli. Quando al terzo giorno questi espressero il desiderio di ritornare all’abbazia, Domenico scongiurò loro di non accostarsi ai pesci che avevano nascosto perché si erano trasformati in serpi. E poiché quelli erano perplessi, li fece accompagnare da due frati che portavano il suo bastone. Arrivati alla roccia, trovarono effettivamente delle serpi che, toccate dal magico bastone, tornarono pesci. I due frati, scossi dall’insolito episodio, corsero da Domenico chiedendogli fra le lacrime di intercedere in cielo per la loro salvezza. Il santo, commosso e impietosito, prescrisse loro un digiuno di tre giorni al termine del quale, raccoltosi in preghiera, ne ottenne il perdono». Dopo la celebrazione della santa messa nel santuario di San Domenico inizia la vestizione della statua del Santo che, adagiata sul sagrato viene addobbata con ori e grovigli di serpenti vivi, segnati sulle teste; viene quindi portata a spalla in processione fino a raggiungere la sommità del paese, dove riceve l’omaggio dei fuochi pirotecnici. Il corteo è preceduto da ragazze in costume tradizionale che portano canestri colmi di ciambelle benedette, che verranno offerte al portatore dello stendardo e a quelli del simulacro del santo. Durante la processione i rettili si intrecciano in spirali scenografiche e si attorcigliano intorno alla testa del Santo: se i serpenti arrivano a coprirne anche il volto l’avvenimento viene ritenuto di cattivo auspicio. I serpenti a Cocullo sono più rispettati che altrove, specialmente da quando è venuta meno la consuetudine ucciderli alla fine del rituale: fino a non molti anni fa le serpi venivano “sacrificate” nel piazzale della Chiesa di San Domenico, mentre oggi un diverso spirito religioso e una intervenuta consapevolezza ecologista, fanno sì che queste vengano liberate negli stessi luoghi dove sono state catturate. Al termine si fa ritorno al santuario, dove si svolgono i riti di più intensa carica emozionale. Il culto popolare, come già si è detto, attribuisce a San Domenico anche poteri antifebbrili e antiodontalgici; per questo motivo, nella Cappella di San Domenico, che accoglie l’effige del Santo, i fedeli fanno la fila per raccogliere da dietro l’altare pietrisco da spargere intorno alle case a protezione dalle serpi e da utilizzare anche a scopo rituale nei campi. A questo punto si compie il rito della campanella: i fedeli tirano con i denti la corda della campanella, collocata vicino alla cappella, per preservarsi dal mal di denti ed eseguono riti propiziatori di benedizione alle persone e agli animali. Singolare il commiato dei pellegrini di Atina, radunati per la partenza dinnanzi alla statua, al suono di zampogna e ciaramella: «Addio San Domenico/ noi siamo di partenza/ e dacci la licenza,/ la santa benedizion…». Essi ripetono più volte il saluto, mentre con il viso rivolto al Santo, camminano all’indietro in un lento salmodiare. Gianluca Rubeo