Celano. L’associazione Rindermi, che da anni opera nel mondo dell’emigrazione, è intervenuta sui moti di Celano sollecitando tutte le parti a fare un passo indietro e a bloccare l’avvelenamento del tessuto sociale. “A cosa serve proclamare una giornata di lutto quando un barcone naufraga nel Mediterraneo se poi ci lasciamo prendere dall’odio razziale quando ci troviamo di fronte a un episodio che coinvolge la nostra quotidianità?”, hanno spiegato i membri dell’associazione,”l’accoglienza è altra cosa dal soccorso in caso di emergenza! Nessuno ancora in Italia e in Europa possiede la metodologia infallibile per risolvere il nodo dell’immigrazione, ma sicuramente esso va affrontato con la consapevolezza di dover raggiungere la capacità di integrare sul proprio territorio gli immigrati secondo termini e modalità di efficienza e di efficacia, ricordando sempre come gli italiani, nella loro storia di emigranti e stranieri, abbiano dovuto subire la diffidenza, l’ostilità e l’emarginazione nelle terre di destinazione! I processi, fino ad ora, si sono dimostrati lunghi sui tempi, complessi nei modi di attuazione e non liberi da fenomeni collaterali che, sovente, per dimensione ed impatto sociale, costituiscono il vero problema, che non è il fenomeno in sé, ma la mancata integrazione e le sue conseguenze : povertà, sfruttamento, intolleranza, con il carico che ne deriva sul piano sociale e politico. E’ una visione astratta dell’immigrazione su portanti unicamente negative che producono effetti negativi e coinvolgono ospitati e ospitanti: ghettizzazione, incomprensione, odio, razzismo, violenza. Un ciclo che vede quale risultante il blocco e l’ inversione del naturale processo di integrazione, con il suo danno più grave: l’avvelenamento del tessuto sociale, che conduce alla regressione tra le persone, tanto più marcata quanto più le economie sono precarie. La nostra società, anche se complessa, per poter assorbire il fenomeno deve sapersi organizzare e strutturarsi non solo in termini di recettività e accoglienza sotto il profilo materiale, ma anche e soprattutto in termini sociali e educativi che coinvolgano attivamente tutte le parti della società nelle diverse dimensioni: lavoro, diritti, educazione, religione, tradizioni, lingua. Di contro, invece, nelle nostre cittadine sembra sempre più delinearsi una “reciproca segregazione” di spazi, quasi una ghettizzazione dove le varie comunità si rinchiudono senza alcuna possibilità di “interazione”. L’integrazione – senza la “G” – non è un’ operazione matematica, una questione di numeri: è la costruzione continua di un popolo sempre nuovo e in evoluzione, non schiacciato sui localismi, non indifferente alle questioni sociali, senza invettive o incitazioni tra parti opposte e opponenti, orgoglioso della propria identità ancora di più quando si apre al confronto con gli altri, al pluralismo degli altri, alla tolleranza come inizio di un cammino comune. L’interazione sicuramente può creare conflitti, ma essi devono essere composti nella legalità che è responsabilità degli organi politici, degli organi amministrativi e dei cittadini stessi: la convinzione che la legge dello Stato, garante della compattezza del corpo sociale, è dovere e diritto di tutti , rappresenta un segno di civiltà e un vantaggio per tutti. L’illegalità del farsi “giustizia da soli”, in spregio di ogni contratto sociale, non paga, dà solo un momentaneo segno di onnipotenza a qualcuno a spese di tutti. E ciò vale per tutti e per ciascuno, per tutta la razza umana, a prescindere dalle etnie e dalle nazionalità presenti nelle città e nei paesi che abitiamo. La legalità è una parte necessaria e importante, uno degli strumenti principali di gestione del territorio e della società, ma non può essere unicamente espressa da azioni di polizia né, tantomeno, da operazioni di repressione e contrasto “populiste”! In una società che sembra mostrare individui sempre più separati da un reciproco “ignorarsi”, dovremmo tutti cercare di affiancare azioni e operazioni connotate dalla responsabilità e dalla comune ricerca di umanità e di speranza”.