L’Aquila. “La morte dell’orso bruno marsicano classificato M20, conosciuto al grande pubblico come Juan Carrito, ci induce a riflessioni obbligate partendo da alcune cifre. Nell’ultimo Rapporto orso (2021), in un articolo a lui dedicato, è riportata una tabella con i dati relativi alle risorse impiegate per il suo monitoraggio. Un importo molto significativo si riferisce alle ore/uomo utilizzate in poco più di sei mesi, dal 20 maggio al 7 dicembre 2021: in totale ben 16.287”.
Così in una nota Corradino Guacci, presidente Società italiana per la storia della fauna, a seguito della morte dell’orso bruno marsicano Juan Carrito.
“Considerando la retribuzione media di un carabiniere forestale, non graduato, rapportata alle ore di lavoro, si ottiene un costo ora/uomo intorno ai 20 euro. Quindi il controllo e la dissuasione di M20, in soli sei mesi, ha comportato una spesa pari a 325.000 euro. Se a questo importo si aggiungono il costo del carburante e l’ammortamento dei mezzi si arriva a cifre veramente importanti. Risorse impegnate per un singolo esemplare. Non possiamo non ricordare come, nel 2013, a fronte della proposta avanzata dalla Società Italiana per la Storia della Fauna, di istituire una banca genetica dell’orso marsicano, venne risposto, tra l’altro, che non si potevano distogliere risorse dagli interventi sul territorio”, va avanti la nota, “un progetto, quello della banca genetica, che andava ad affiancare e rafforzare le politiche di conservazione già in atto e i cui costi erano da ricondurre quasi esclusivamente alla formazione dei veterinari per le operazioni di prelievo dei materiali biologici. Sarebbe stato infatti praticamente nullo il costo di impianto esistendo, in Italia, diversi istituti universitari dotati di proprie banche genetiche e disponibili a condividere le strutture. Quindi formazione per il prelievo di liquido seminale sul campo ma anche per l’espianto, entro le 48 ore dal decesso, di gonadi dai maschi e di ovaie dalle femmine, preziosissimi per avviare una banca dei tessuti. Un intervento del costo di poche decine di migliaia di euro da condursi in un centro specializzato come, ad esempio, l’università di Leon (Spagna) dove da oltre quindici anni si affinano le tecniche relative ai prelievi di tessuto negli orsi bruni”.
“Se pensiamo infatti che ben cinque delle femmine morte negli ultimi anni sono decedute tra le mani dei soccorritori e che da loro si sarebbe potuto prelevare materiale prezioso si comprende quale spreco si stia perpetrando a causa dell’ostracismo incomprensibile nei confronti della proposta”, conclude Guacci, “a fondamento del diniego fu un parere dell’ISPRA che la giudicò “priva di basi scientifiche” quando è risaputo che vi sono decine di banche genetiche in tutto il mondo a supporto della sopravvivenza di specie animali minacciate di estinzione. L’esempio più recente, e a noi vicino, è il programma di riproduzione in cattività della lince pardina (Linx pardinus Temminck, 1827) che, unitamente agli altri interventi, ha consentito alla popolazione selvatica di risalire dai 94 esemplari censiti nel 2002 agli attuali 1.200 circa. Dall’autopsia è inoltre risultato che M20 aveva un occhio, il destro, offeso da un trauma. Questo particolare, insieme alla ormai consolidata renitenza a vivere lontano dalle strutture antropiche, avrebbe Stesso discorso si sarebbe potuto fare per la piccola Morena recuperata nel maggio del 2015, svezzata e cresciuta per sei mesi dai tecnici del Parco, rilasciata in natura a dicembre e vissuta fino alla fine del successivo mese di luglio. Nel suo caso l’autopsia fece risalire le cause della morte a problemi collegati con la dentatura, patologia forse risolvibile in cattività. Una misura di cattività non necessariamente a tempo indeterminato ma che doveva prevedere un programma di ricondizionamento molto graduale e supportato da interventi di alimentazione artificiale protratti nel tempo. Forse così avremmo potuto avere oggi una giovane coppia di orsi marsicani, pionieri di una banca genetica, e possibili fondatori di un futuro progetto di allevamento in condizioni controllate.
Ma qui si rileva un altro aspetto a nostro avviso critico della gestione del nostro plantigrado: le aree potenzialmente destinate ad accogliere orsi, oltre a quelle presenti nel centro di visita del Parco a Pescasseroli, si trovano a Campoli Appennino e a Palena (quest’ultima struttura ideata, almeno in origine, proprio in vista di un eventuale progetto di allevamento in condizioni controllate, ex verbis Nicola Cimini primo direttore del Parco nazionale della Maiella).
Ebbene tutte queste aree ospitano attualmente orsi di popolazioni europee, provenienti da operazioni di recupero che, seppur significative e apprezzabili in un’ottica “animalista”, nulla aggiungono al tema della conservazione e corrono il rischio di essere fuorvianti sotto il profilo educativo e dell’informazione scientifica. Il concetto che vorremmo comunicare è che siamo di fronte a una minuscola popolazione, appartenente a una sottospecie unica al mondo. Non possiamo permetterci di perdere esemplari preziosi né possiamo pensare di gestirla lasciando che la natura faccia il suo corso, altrimenti il capolinea sarà l’estinzione o la sua sostituzione con orsi di un’altra sottospecie.
Alla luce di quanto sopra si auspica che chi ha il potere di indirizzare le politiche di gestione conservativa del popolamento di orso bruno marsicano valuti la possibilità di un ripensamento sul tema della costituzione di una banca genetica”.