Avezzano. Il quartiere che tutti noi oggi conosciamo come “concentramento”, prende il suo nome da un campo di concentramento costruito durante la prima guerra mondiale, nato per ospitare i militari austro-ungarici. Il terribile terremoto del 1915, che aveva lasciato in piedi pochissime case e ucciso oltre trentamila persone in tutta la marsica, aveva inflitto danni incalcolabili alla città di Avezzano. Nonostante ciò i giovani marsicani non vennero esentati dal fronte e quindi la città si ritrovò con una grave carenza di manodopera con cui portare avanti la ricostruzione. Fu così che il governo decise di costruire il campo di concentramento di Avezzano, una struttura dove gli internati avrebbero scontato la loro prigionia, lavorando alla ricostruzione della città.
Il campo venne costruito nell’estate del 1916, nella periferia nord della città dove ancora oggi, nel percorso all’interno e all’esterno della pineta, è possibile vedere i resti delle costruzioni, che all’epoca vennero realizzate in legno e muratura sulle basi delle baracche costruite subito dopo il terremoto. La costruzione più celebre rimasta in piedi è forse il “villino Cimarosa”, che oggi versa in pessime condizioni di fianco la chiesa della Madonna del Passo, mentre un tempo si presume fosse il villino del genio militare o la residenza di un ufficiale dell’esercito; delle altre costruzioni rimane poco e nulla, tranne le celebri “tre conche”, serbatoi da 1.000 metri cubi ognuno, che attraverso dodici chilometri di condutture rifornivano d’acqua l’intero campo. Dalla piantina si capisce che il campo di concentramento di Avezzano, codificato con la sigla PG091, era una struttura imponente: occupava una superficie di oltre 30 ettari, suddivisi in quattro settori, per un totale di 192 costruzioni, comprese quelle di comando, in grado di ospitare fino a 15.000 prigionieri e 1.000 tra soldati di guardia e ufficiali. Quello di Avezzano, secondo gli esperti, era considerato un campo di concentramento modello, anche se non mancarono polemiche sulla qualità della vita dei reclusi.
Mentre all’inizio gli internati erano utilizzati solo per lavori di ricostruzione, come il rimboschimento della pineta del Salviano e la costruzione di molte strade della città, in seguito vennero impiegati anche per i lavori agricoli nel Fucino. Ma questo comportamento suscitò numerose proteste da parte dei braccianti, a cui i proprietari terrieri, Torlonia in testa, preferirono ovviamente i prigionieri che lavoravano a costo zero. I più richiesti nel Fucino erano quelli di nazionalità rumena, resistenti al duro lavoro nei campi, ma con cui era molto più facile dialogare rispetto a quelli tedeschi o ungheresi. Più in avanti i prigionieri rumeni si distinsero anche per meriti militari. Molti infatti si arruolarono tra le file del Regio Esercito, creando la cosiddetta Legione Romena, che veniva addestrata e formata proprio ad Avezzano. Grazie a questa “alleanza” i romeni poterono godere di concessioni del tutto singolari, come licenze e permessi speciali durante il giorno. Tanti furono i romeni che dopo la guerra si stabilirono definitivamente ad Avezzano, dove scelsero di formare la loro famiglia con donne del posto. Nel 1920, al termine del conflitto mondiale, il campo di concentramento venne smantellato, ma alcune baracche vennero riutilizzate anche nella successiva guerra, sempre per fini prettamente agricoli, quando ospitarono prigionieri inglesi, indiani e neozelandesi. Secondo i registri delle presenze, nel marzo del 1943 il campo ospitava ancora circa 4.000 prigionieri.
Oggi il “concentramento” è uno dei quartieri più popolosi e vasti di Avezzano, che ha cambiato la sua vocazione in quartiere sportivo e dove il campo di concentramento ha lasciato il posto a campi di calcio, campi da tennis, piscine e numerose altre attività sportive. Ma se guardiamo con attenzione in mezzo agli alberi della pineta è ancora possibile scorgere qualche resto del passato, nemmeno troppo lontano, che ci racconta la tutta la storia e le sofferenze del PG091, il vecchio campo di prigionia di Avezzano. @francescoproia