Avezzano. Il fenomeno del mobbing è entrato con violenza a far parte delle nostre vite. Osservato e analizzato inizialmente nell’ambito dei comportamenti del branco di animali di piccola taglia, è stato successivamente introdotto anche nella psicologia e sociologia del lavoro. Il mobbing non è altro che un insieme di condotte aggressive e discriminatorie a danno dei “mobizzati” (vittime) da parte dei “mobbers” (carnefici) e spesso sostenuti dai “sighted mobbers” (colleghi di lavoro). Il tutto avviene all’interno di aziende o nei luoghi di lavoro. Ma come avviene questa violenza? Il mobbing si manifesta in una serie di condotte aggressive che si ripetono con frequenza in un considerevole periodo di tempo. Riportiamo qualche esempio: licenziamento ingiustificato; critiche continue e umilianti; aggressioni verbali; assegnazione di eccessivi carichi di lavoro; isolamento dei colleghi; esclusione ingiustificata da benefici e incarichi; il rifiuto immotivato della concessione di permessi; comportamenti indesiderati compiuti per motivi di razza, religione, orientamento sessuale.
Ecco la testimonianza di S.D.P., ragazza marsicana di 32 anni, dipendente in una ditta di pulizie da nove anni.
“Lavoro in una ditta di pulizie da nove anni. Ho un contratto annuale che va rinnovato ogni anno. Tutto ha inizio due anni fa quando il mio datore di lavoro mi ha chiesto firmare nuovamente il contratto e mi ha obbligato a farlo senza darmi il tempo nemmeno di leggerlo se non lo firmavo, mi avrebbe cacciato fuori. Io l’ho firmato ingenuamente e per una questione di fiducia non l’ho nemmeno letto. Da quel momento tutto è cambiato. Il contratto prevede 4 ore lavorative al giorno ed io vengo pagata per 4ore, ma ne lavoro 6”.
Rabbia e impotenza sono i sentimenti che emergono da queste parole:
“Ho iniziato a chiedere spiegazioni, mi sono ribellata, ma questo non ha causato altro che violenze da parte del mio datore e della sua famiglia nei miei confronti. Mi sono stati assegnati i turni notturni 3 settimane su 4, la moglie si è presa i miei turni. Non ho ancora percepito stipendio del mese scorso, arrivato con regolarità a tutti gli altri miei colleghi l’11 settembre. Sono stata minacciata più volte da amici e familiari del capo area, invitandomi a portare rispetto. Ultimamente mi lasciano i bagni da pulire all’interno dei loro uffici che un branco di randagi lascerebbe più pulito tutto per farmi dispetto. Ho chiesto aiuto ai colleghi ma nessuno parla…”.
Nell’ambito dell’argomento trattato, abbiamo deciso di intervistare l’avv. Daniela Cantisani, socio e fondatore dell’ Apem (Associazione periti ed esperti di mobbing) di Firenze. Relatrice di numerosi convegni in Italia e all’estero in tema di Mobbing e danni alla persona nel rapporto di lavoro e autrice di numerosi articoli.
Le vittime di queste violenze sono in percentuale più uomini o donne?
“E’ un azzardo tentare una distinzione di genere netta. Direi che le percentuali più o meno si equivalgono, con l’unica differenza che gli uomini, in linea statistica e generalmente, subiscono mobbing prevalentemente dopo i 50/55 anni, mentre per le donne è più frequente che ciò accada prima dei 45 anni di età, poiché sovente la causa scatenante è l’assenza dal lavoro ricollegata alla maternità”.
Perché molte persone non hanno il coraggio di denunciare il fatto?
“Il rischio e la posta in ballo è il posto di lavoro. Per tale motivo molti preferiscono attendere e resistere fino all’estremo e, prima di intentare la causa di mobbing, aver già trovato una nuova occupazione altrove. Ciò allunga i tempi delle denunce.
Cosa consiglia alle vittime di mobbing?
“Di rivolgersi ad un legale per valutare il da farsi ed avere anche una visione oggettiva del proprio vissuto lavorativo. In molti casi è senz’altro necessario anche un sostegno di natura psicologica.”
Silvia Federici