Avezzano. Un segnale forte contro la discriminazione, un’indicazione eloquente alla solidarietà e un invito chiaro all’accoglienza. E’ questo il messaggio di monsignor Pietro Santoro, il vescovo di Avezzano, città che accoglie una considerevole comunità Rom, lanciato nella decisione di essere a Roma domenica in occasione del pellegrinaggio rom sulle orme del beato Zeffirino (Ceferino) Gimenez Malla (1861-1936), gitano martire della fede di origine spagnola, di cui ricorrono quest’anno il 75esimo anniversario del martirio e dei 150 anni dalla nascita. Il Papa incontrerà oggi oltre duemila rom di venti diversi paesi d’Europa e domani il vescovo dei Marsi presiederà una messa, trasmessa in diretta su Rai Uno, dal santuario del Divino Amore, nella “Cappella a cielo aperto” dedicata al Beato Zeffirino. Si tratta di un’iniziativa che ha lo scopo di scoraggiare la crescente ondata di intolleranza in tutta Europa nei confronti delle popolazioni gitane e zingare. Ma per il vescovo Santoro ha anche una motivazione diretta, legata alla sua terra di adozione. Ad Avezzano infatti vivono più di sessanta famiglie rom con una popolazione di oltre 260 abitanti zingari che vivono soprattutto nella periferia sud della città o in quella nord, lungo la Panoramica. La comunità si insediò in citta subito dopo il terremoto del 1915.
Oggi Benedetto XVI riceverà in udienza una delegazione di 1400 Rom, Sinti, Manuches, Kale, Yenish e Travellers d’Europa e d’Italia, in rappresentanza dei 12 milioni di nomadi d’Europa e dei 170 mila rom, Sinti e camminanti italiani. L’udienza con il pontefice sarà il momento centrale del pellegrinaggio di due giorni degli zingari del Continente, organizzato in occasione della ricorrenza del 75esimo anniversario del martirio e dei 150 anni dalla nascita del beato Zeffirino, gitano martire della fede di origine spagnola. A organizzare il pellegrinaggio sono stati il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, in collaborazione con la Fondazione “Migrantes” della Conferenza Episcopale Italiana, la Diocesi di Roma e la Comunita’ di Sant’Egidio.
Domani, invece, sarà la volta della celebrazione eucaristica con il vescovo Santoro al santuario del Divino Amore, nella “Cappella a cielo aperto” dedicata al Beato Zeffirino. Si tratta di una cappella a cielo aperto: non ha tetto, i muri sono dodici piccoli blocchi di tufo ed è a forma di cerchio, che nella simbologia zingara indica l’accampamento, la famiglia, il falò, la ruota. Si tratta del primo luogo di culto in Italia, ed uno dei pochi al mondo, specificamente dedicato alla cura pastorale dei nomadi, di confessione cattolica, in maggioranza italiani, e sorge in una radura tra i boschi vicino al santuario del Divino Amore il primo luogo di culto per nomadi cattolici in Italia. La chiesa zingara è stata dedicata nel 2004 a Zefirino la cui vita, ricordò il Papa Giovanni Paolo II nel proclamarlo beato, «dimostra che Cristo è presente nei diversi popoli e razze e che tutti sono chiamati alla santità, che si raggiunge osservando i suoi comandamenti e rimanendo nel suo amore».
Nato nel 1861 da una povera famiglia nomade della Catalogna, Zeffirino a 18 anni si sposa con Teresa e si stabilisce con lei a Barbastro, dedicandosi al commercio di cavalli e conquistando grande stima di tutti per la sua onestà. Aderisce a diverse confraternite religiose occupandosi soprattutto di malati e moribondi. Figura imponente, espertissimo di cavalli e muli, diventa un mediatore stimato per la sincerità (dote piuttosto rara, in questo mestiere). Ma poi si fa negoziante in proprio, per un gesto che incanta tutta Barbastro: un potente del luogo, malato di tbc, sviene un giorno per strada, tra sbocchi di sangue che fanno scappare tutti, anche chi precedentemente lo riveriva. E soltanto lui, Ceferino, senza paura, accorre, lo aiuta e lo porta sulle spalle a casa. La ricca famiglia del malato lo ringrazia con una somma di denaro, e lui può così avviare un prospero commercio. Diventa un notabile. Ma soprattutto pratica anche sulle piazze la fede, che ha raggiunto completamente da adulto. Prega per strada, con la corona del Rosario in mano. Gira d’inverno a soccorrere gli zingari più poveri, ma non solo loro. Tutti sono “prossimo” per lui, che costruisce giorno per giorno il capolavoro della sua vita di credente, convalidata dalle opere. Analfabeta, ha ugualmente “letto” gli ammonimenti dell’apostolo Paolo ai Corinzi, e realizza in sé la carità che “tutto copre, tutto crede, tutto sopporta”.
E pure le calunnie sopporta, accusato falsamente di furto (“È uno zingaro…”) e poi trionfalmente assolto. Torreggia nei gruppi dei “Giovedì eucaristici”, della San Vincenzo, del Terz’Ordine francescano… tutti lo vogliono, questo zingaro comunicatore di speranza, questo promotore di gioia. Ancora in vita, c’è chi già lo chiama “santo”.Luglio 1936, guerra civile in Spagna. Ceferino è arrestato da un reparto di anarchici perché, a 75 anni, si è lanciato tra loro per liberare un prete che portavano via. (C’è una strage di clero a Barbastro). E lui prega a voce alta, a testa alta, non chiede pietà. Quando lo fucilano, alcuni giorni dopo presso il cimitero, l’ultimo suo grido è “Viva Cristo Re!”. L’ultimo gesto è quello della mano che tiene alta la coroncina del Rosario come una bandiera. Per questo la chiesa lo considera un martire della fede.