Avezzano. Il vescovo di Rieti ha invitato i suoi sacerdoti a celebrare messe “ad petendam pluviam”. L’estate rovente dell”Aqbruzzo, ma anche della vicina provincia di Rieti e del Lazio intero, con i problemi legati alla siccità e agli incendi che hanno mandato in fumo ettari di vegetazione boschiva, ha fatto scendere in campo anche la Chiesa che chiede di affidarsi alla preghiera per fare piovere. In particolare, la diocesi di Rieti, con il vescovo Domenico Pompili ha lanciato un appello ai sacerdoti affinché celebrino messe ‘ad petendam pluviam’ (per fare piovere). “La preghiera, affinché il Signore conceda la benedizione della pioggia in questo periodo gravato dal flagello della siccità – spiega la diocesi attraverso il settimanale diocesano ‘Frontiere’ – può essere recitata dai fedeli anche fuori dalla messa, privatamente o in gruppo”.
Questa presa di posizione ha mandato su tutte le ire il sacerdote marsicano don Aldo Antonelli che scrive una lettera aperta molto dura al vescovo: “Caro Vescovo Pompili, leggo sui giornali che hai invitato i tuoi sacerdoti a celebrare messe “ad petendam pluviam”. Ebbene, fossi uno dei tuoi sacerdoti ti disubbidirei seccamente e ti taccerei di essere più pagano che cristiano. Molto probabilmente il nostro Dio non è lo stesso Dio ed io non credo nel dio in cui tu credi. Il mio Dio non fa il meteorologo, non è un sismologo, non muove il mondo come il burattinaio muove i suoi burattini. Il mio Dio non è un deus ex machina che viene in supporto all’irresponsabilità dell’uomo. Credo invece nel Dio che abita la coscienza dell’uomo e la interpella nella sua consapevolezza e responsabilità. Mancando questa non ci sono dèi che tengano. Nemmeno il tuo dio. Mi chiedo che differenza ci sia tra i “primitivi” che danzano per la pioggia e i “cristiani” che pregano per la pioggia”.
Non tutti però sono d’accordo con questa presa di posizione. Nei mesi scorsi, infatti, ma anche negli anni in cui si sono registrate estati particolarmente al secco, ci sono stati casi di sacerdoti che hanno chiesto alla comunità di invocare la pioggia attraverso le preci. Una pratica, spiega all’Adnkronos monsignor Claudio Magnoli, consultore della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, nonchè docente di Liturgia presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, responsabile Servizio per la Pastorale Liturgica dell’arcidiocesi di Milano, che “risale all’ epoca Medievale. Si tratta di invocazioni con le quali si chiede al Signore il dono della pioggia o di un buon raccolto che sono rimaste nel formulario delle preghiere contro le forze della natura. In buona sostanza, si chiede al Signore che abbia la grazia di liberarci dalle calamità”. “Una volta – spiega ancora il liturgista – queste preghiere erano molto più usate, soprattutto nel contesto rurale. Fino all’epoca Conciliare c’erano le preghiere rogazionali per invocare la provvidenza divina” che avvenivano all’interno di una messa itinerante nel corso della quale, spiega, “si andava in processione sui luoghi per i quali veniva invocavata la benedizione di Dio”. Messe a parte, anche i fedeli possono dare man forte contro la siccità. Come spiega il consultore della Congregazione per il Culto divino esistono, infatti, anche “preghiere non direttamente liturgiche, più pedagogiche volte ad assumere una responsabilità più viva” per scongiurare la siccità o per invocare un raccolto fecondo. “La forza dell’invocare il Signore affinché intervenga in modo provvidenziale – tira le somme don Magnoli – è data dalla Chiesa raccolta in preghiera nella sua collettività”.
Indipendentemente dalle polemiche nella Chiesa, certo è che in queste ore la pioggia è arrivata veramente e in molte zone sta piovendo