Avezzano. Il teatrocco porta in scena “Ne jorne sarà tutte diverze…te creti tu?”, commedia in due atti scritta e diretta da Alessandro Barbonetti. Il dialetto è uno straordinario mezzo espressivo diretto e efficace, un patrimonio tutto da scoprire, conservare e diffondere: esso, infatti, crea radicamento e una linea di continuità tra passato e presente, un ponte temporale che riesce a far incontrare giovani e anziani, bambini e adulti in un mondo di valori comuni e condivisi. Per questo il vernacolo va difeso e tramandato e affidato alle cure di chi verrà dopo: esso è la nostra memoria, è una risorsa culturale che ci fa intendere chi siamo, chi siamo stati e, forse, quello che saremo o, almeno, quello che non vorremo essere. E in questa ottica di salvaguardia delle nostre radici linguistiche, anche quest’anno la compagnia de “il Teatrocco”, arricchita di nuovi interpreti, tra cui spicca un bambino di 11 anni che, con meravigliosa semplicità, si è lasciato coinvolgere in questa avventura e che ci commuoverà per la sua interpretazione ingenua, fresca e spontanea, è pronta ad accogliervi il 1 Giugno, alle ore 17.30, al Teatro dei Marsicon la prima assoluta della nuova rappresentazione che, ben contemperando comicità e umorismo, vi farà ridere e sorridere. L’esperienza iniziata lo scorso anno prosegue con l’entusiasmo di chi sa cosa significa avere una passione e investire in essa energie e tempo libero per divertirsi e divertire, regalando al pubblico una pausa di serenità e di riflessione, in un momento in cui la vita corre frenetica e, spesso, senza raggiungere una meta. Il teatro offre una pausa, un tempo fuori dal tempo, uno spazio altro in cui gli attori si muovono presentando, dietro la maschera del personaggio, una realtà senza finzioni, così come è, con tutte le sue ipocrisie, la sua bassa umanità e gli slanci generosi di chi vorrebbe cambiare almeno il mondo vicino a sé. E nel gioco fantasmagorico delle gags e dei colpi di scena ognuno ritroverà un po’ di sé e nel sorriso di chi, a chiusura del sipario, “avrà capito il gioco”, troveranno equilibrio e composizione tutte le contraddizioni e le ansie dell’uomo contemporaneo. La commedia è ambientata nella metà degli anni Ottanta: in ospedale si incontrano tre anziani pazienti che saranno le vittime innocenti della malasanità rappresentata da: un primario assente; una dottoressa ignorante; un portantino che usa il suo ascendente sulla dottoressa per programmare inutili trasfusioni a pagamento a tutto vantaggio del suo parente donatore da cui riceverà un compenso; un prete opportunista, fratello di un “cassamortaro” per il quale procaccia affari usando la sua presunta vicinanza con Dio, suo “Principale”; e, per finire, una infermiera indolente che scambierà le cartelle cliniche per cui i tre malcapitati dovranno sottoporsi a operazioni di cui non hanno bisogno. Un’unica persona è al di fuori del meccanismo contorto e malato del sistema: l‘infermiera Rosina che cerca, per quanto può, di raddrizzare le storture di cui è testimone. Ma la malasanità non è l’unico tema scottante affrontato nella commedia: vi è quello della dissoluzione familiare, le cui prime e più dirette vittime sono i bambini, e quello della passione per il gioco del lotto, che, negli anni in cui è ambientata la storia, era ancora “innocente” e praticata con la credula ingenuità di chi si affida alla sorte per ottenere un guadagno extra. Niente, allora, lasciava presagire quali scenari essa avrebbe avuto in futuro. Su tutto un raggio di sole e di speranza: gli occhi innocenti, trasparenti e ingenui di un bambino. Ogni riferimento a persone reali o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.