Avezzano. Sono passati 103 anni da quella scossa che distrusse intere comunità e cancellò pagine e pagine di storia. Lo abbiamo sentito raccontare dai sopravvissuti, che ora sono sempre meno, lo abbiamo letto sui libri di storia e lo abbiamo rivisto in video e filmati che sono stati ricostruiti per far sì che la memoria non svanisse. Ma cosa è stato il terremoto del 1915 per Avezzano e per la Marsica? Una grande prova di forza, un test attraverso il quale si è potuto valutare la voglia di ricominciare di un popolo distrutto dal dolore. Nei vari testi che abbiamo letto negli anni si evince che la città di Avezzano e la Marsica non c’erano più. Un cumulo di macerie immerse nel gelo di gennaio dove era difficile anche solo poter arrivare. Sì perchè a differenza delle tragedie a cui assistiamo ormai da spettatori ad Avezzano nel 1915 si poteva giungere solo attraverso la ferrovia, che era anche bloccata.
Gli aiuti arrivarono, ma tardi, eppure non c’erano social sui quali sfogarsi, media ai quali poter raccontare da quanto tempo si aspettava che Roma inviasse qualcuno. In quei momenti c’era solo la voglia di voltare pagina. Furono gli stessi avezzanesi, con grinta, ad armarsi di pale e scavare tra le macerie e i morti. Eppure ce la fecero, passo dopo passo, giorno dopo giorno. Ecco quindi che, a distanza di tempo, la lezione che dobbiamo imparare dal terremoto del 1915 è tutta incentrata sulla forza che all’epoca un popolo dilaniato riuscì a tirare fuori, senza stare a vedere se era loro compito o no. Ma una delle figure centrali, dalla quale tutti dovremmo prendere esempio, è quella di don Orione. Fu lui che diede un futuro a migliaia di bambini rimasti senza padre, senza madre e senza un tetto. Le sue lezioni di solidarietà devono essere un monito per tutti noi. Lo ricordiamo con un passo di Ignazio Silone in “Incontro con uno strano prete” nel suo libro autobiografico “Uscita di sicurezza”. Il dialogo sotto riportato avviene con il Direttore del collegio di Roma da cui Secondo Tranquilli veniva espulso.
“Ti piace andare da don Orione?” mi chiese. “Hai mai sentito parlare di lui?”
“Oh, sì”, gridai entusiasta.
Per spiegare la mia contentezza devo raccontare un episodio dell’anno precedente. Si era appena a pochi giorni dopo il terremoto. La maggior parte dei morti giacevano ancora sotto le macerie. I soccorsi stentavano a mettersi in opera. Gli atterriti superstiti vivevano nelle vicinanze delle case distrutte, in rifugi provvisori. Si era in pieno inverno, quell’anno particolarmente rigido. Nuove scosse di terremoto e burrasche di neve ci minacciavano. (…)
Una di quelle mattine grigie e gelide, dopo una notte insonne, assistei ad una scena assai strana. Un piccolo prete sporco e malandato con la barba di una decina di giorni, si aggirava tra le macerie attorniato da una schiera di bambini e ragazzi rimasti senza famiglia. Invano il piccolo prete chiedeva se vi fosse un qualsiasi mezzo di trasporto per portare quei ragazzi a Roma. La ferrovia era stata interrotta dal terremoto, altri veicoli non vi erano per un viaggio così lungo. In quel mentre arrivarono e si fermarono cinque o sei automobili. Era il re, col suo seguito, che visitava i comuni devastati.
Appena gli illustri personaggi scesero dalle loro macchine e si allontanarono, il piccolo prete, senza chiedere il permesso, cominciò a caricare sopra una di esse i bambini da lui raccolti. Ma, come era prevedibile, i carabinieri rimasti a custodire le macchine, vi si opposero; e poiché il prete insisteva, ne nacque una vivace colluttazione, al punto da richiamare l’attenzione dello stesso sovrano. Affatto intimidito, il prete si fece allora avanti, e col cappello in mano, chiese al re di lasciargli per un po’ di tempo la libera disposizione di una di quelle macchine, in modo da poter trasportare gli orfani a Roma, o almeno alla stazione più prossima ancora in attività. Date le circostanze, il re non poteva non acconsentire.
Assieme ad altri, anch’io osservai, con sorpresa e ammirazione, tutta la scena. Appena il piccolo prete col suo carico di ragazzi si fu allontanato, chiesi attorno a me: “Chi è quell’uomo straordinario?”
Una vecchia che gli aveva affidato il suo nipotino, mi rispose: “Un certo don Orione, un prete piuttosto strano”.
Ecco perché, un anno dopo, quando il direttore del collegio, nel quale, a causa dello scandalo dato, non potevo più restare, mi disse che don Orione era disposto a prendermi in uno dei suoi istituti, ne fui assai contento.