L’Aquila. Circa 25 metri di ghiaccio nascosto da una coltre di pietre all’ombra delle pareti del Gran Sasso: è quanto rimane del Calderone, il corpo glaciale più meridionale d’Europa e unico degli Appennini, secondo i dati forniti dal georadar che ne ha percorso la superficie nei giorni scorsi, nell’ambito di una campagna di rilevamento e di raccolta di campioni di ghiaccio in situ. A dirlo è la ricognizione organizzata
da Cnr e Università Ca’ Foscari Venezia con esperti di Ingv e Università di Padova in vista del carotaggio previsto per fine aprile.
Se le carote di ghiaccio del Calderone si dimostreranno un archivio sufficientemente conservato, potranno ambire a essere custodite per decenni nel ‘santuario’ dei ghiacciai montani in sofferenza che sarà realizzato dal programma internazionale Ice Memory. L’attività di ricerca sul Gran Sasso, organizzata da Cnr-Isp e Università Ca’ Foscari Venezia in collaborazione con esperti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), dell’Università degli Studi di Padova e della società Engeoneering Srls, è stata resa possibile grazie al Dipartimento dei Vigili del Fuoco, Soccorso pubblico e Difesa civile, che ha messo a disposizione elicotteri e personale specializzato per raggiungere in sicurezza la conca del ghiacciaio, ai piedi del Corno Grande, a 2600 metri di quota. Un primo profilo radar elaborato dai ricercatori Ingv ha rivelato una fotografia chiara: sotto i detriti c’è una parte di ghiaccio misto a pietre e poi alcuni metri di ghiaccio apparentemente più ‘pulito’. Si tratta della “fotografia” più nitida mai scattata delle profondità dell’ex ghiacciaio, oggi glacionevato, del Calderone. L’elaborazione di tutti i dati raccolti attraverso le prospezioni radar ed elettromagnetometriche sta fornendo ai glaciologi informazioni utili a scegliere il punto più promettente in cui prelevare una carota di ghiaccio profondo. “Secondo recenti stime, il Calderone perde ogni anno mediamente un metro di spessore. La riduzione del volume di ghiaccio ancora presente, nei prossimi anni potrebbe privare l’area di una preziosa fonte di accumulo idrico”, afferma Carlo Barbante, direttore Cnr-Isp e docente università Ca’ Foscari Venezia.
“Oltre all’acqua, però, sono in pericolo anche le informazioni sull’ambiente e il clima del passato – ricorda – che il ghiaccio conserva e gli scienziati sono in grado di interpretare”.