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I Marsi, grandi medici e incantatori di serpenti, ma anche torturatori dei primi cristiani, come riportato negli Acta Martyrum

Francesco Proia di Francesco Proia
5 Febbraio 2020
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Fucino. I Marsi, oltre a passare alla storia come popolo di guerrieri, nell’antichità erano particolarmente apprezzati anche come medici e guaritori. Quinto Orazio Flacco, nelle sue “opere”, ci racconta che “I Marsi erano stimati i più bravi stregoni dell’Italia”.

Galeno di Pergamo era un antico medico greco, considerato il degno erede di Ippocrate, che con i suoi esperimenti ha ispirato le teorie mediche occidentali per ben tredici secoli, fino al Rinascimento. Dal nome del celebre medico deriva la “galenica”, ovvero l’arte del farmacista di preparare i farmaci. Ebbene anche questo studioso, intenzionato a capire come funzionavano i veleni di alcune specie di serpenti, dovette necessariamente rivolgersi ai Marsi. Il luminare racconta che per informazioni tecniche sulle vipere dipsadi, una particolare specie di vipera, dovette interrogare i Marsi, massimi conoscitori della materia. In alcuni passi delle sue opere consiglia persino di trattare la carne di vipera come fanno i Marsi.

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Racconta poi come “Coloro che a Roma caccian le vipere e son detti Marsi” (Galeno, XII, 316 K), raccontandoceli come una sorta di casta chiusa, che amavano definirsi “sacerdotes”. Inoltre sembra che i Marsi rifornissero Roma di vipere, necessarie alla preparazione della theriaca, un antidoto per i veleni. Più volte, parlando con gli esperti stregoni Marsi, a Galeno sorse il dubbio che questi eludessero di proposito le domande che gli venivano rivolte, probabilmente perché erano gelosi dei loro segreti che preferivano tenere per loro.

Tutto questo nasce nel bosco sacro di Angizia, dove gli stregoni Marsi coltivavano oltre mille specie diverse di piante officinali, con le quali alleviavano le sofferenze o celebravano i loro esoterici riti pagani. Persino alcuni simboli ed etimologie sembrano affondare le radici nel bosco sacro di Angizia: la dea veniva considerata guaritrice del morso velenoso dei serpenti, ma anche più genericamente come la dea che guariva dal dolore: non è un caso che il suo nome abbia la radice in comune con il verbo “ango”, “angere”, tormentare, soffrire, angosciare. In greco, la parola farmacon, significa proprio “veleno” e molti vaccini sono composti da virus inattivi. Per non parlare degli emblemi, del tutto simili a quelli d’Igia greca, figlia d’Esculapio, dio della medicina. La coppa, presso i sacerdoti marsi, simboleggiava l’arte di comporre bevande medicinali e il serpente rappresentava il potere che avevano di calmare i dolori con la loro arte magica.

Purtroppo però ci fu un periodo in cui i Marsi non misero le loro conoscenze a disposizione della medicina, ma le utilizzarono per scopi ben meno nobili, come la tortura dei primi cristiani. Negli Acta Martyrum, i resoconti ufficiali dei processi dei primi martiri, vi era scritto che i Marsi venivano chiamati dalle autorità per torturare i cristiani.
Il caso più emblematico è forse quello del martirio di Sant’Anatolia, avvenuto all’incirca nel V-VI secolo d.C.. La donna venne rinchiusa in una stanza da un certo Audax (Audace), un soldato Marso, che avrebbe dovuto ucciderla facendola mordere da un serpente velenoso. Il giorno successivo il soldato entrò nella stanza e rimase sbalordito nel costatare che il serpente non aveva morso la donna. Ma la cosa più incredibile fu che il serpente, subito dopo, si avventò su di lui e lo morse. La santa salvò Audax dal veleno e anche il soldato Marso si convertì al cristianesimo.

Questa storia, oltre ai valori cristiani del martirio e della santità, mette in evidenza ulteriori collegamenti tra la Marsica antica e l’ancestrale culto dei serpenti. Non a caso l’episodio di Sant’Anatolia è ambientato nella Sabina, ai margini della regione del Fucino, nella piccola frazione di Borgorose che ancora oggi porta il nome della santa. Un territorio che, è bene ricordare, prima che Mussolini nel 1927 la facesse diventare provincia di Rieti, era provincia dell’Aquila e particolarmente vicino alla Marsica. Questo, come già avvenuto per San Domenico a Cocullo e il rito dei serpari, è stato l’ennesimo saccheggio culturale realizzato dal cristianesimo, perpetrato ai danni di culti pagani Marsi ben più antichi, che affondavano le radici sui bordi del lago Fucino e si perdevano nella notte dei tempi.

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