Tagliacozzo. Le prime figurine dei calciatori Panini, quel rituale dello scartare il pacchetto e sperare che uscisse Ramon Diaz dell’Avellino, pressoché introvabile. E lui che ti chiedeva incuriosito? E’ uscito? E’ uscito lo scudetto della Juve? E poi dalle figurine, col passare degli anni, i primi giornali. E se prendevi l’Avanti lui ti guardava e pure senza parlare il suo sguardo contrariato, ma allo stesso tempo paterno e burlone, diceva tutto. Perché se pure la pensava in un altro modo, con lui avevi sempre un punto d’incontro che andava oltre e che ti riportava dritto alle cose di tutti i giorni. E poi, più tardi, le notizie sul Centro, i buchi presi, e dati. E lui sempre lì, ogni mattina del mondo, nelle belle giornate d’estate piene di turisti ma anche sotto la neve che ricopriva le vetrine con le riviste di informatica e di montagna. Sempre lì ad aspettarti, per una parola buona, una battuta sulla politica, un pronostico sulle partite, per poi passarti un giornale in mano, quando la carta aveva un sapore più intenso, un valore più alto del rigido display dei cellulari.
Con lui se ne va un pezzo di storia, ma non se ne vanno i ricordi. Quelli restano dentro.
E’ stato un riferimento, semplice ma costante, nella sua edicola, a scandire il tempo che scorreva, gli anni che passavano. Ma l’edicola è l’edicola: il mondo che cambia, le cose che accadono, il pensiero della gente e dei governanti, tutto lì, passa tutto da quelle parti. L’edicola è l’edicola, non chiude mai. Per Franco non era un mestiere, era una vocazione ereditata. E una vocazione non finisce quando vai in pensione, quella ti resta per sempre.
Franco Chicarella è morto con le sue idee, con le sue convinzioni, nel rispetto per gli altri. E’ morto nello stesso modo in cui è vissuto. Ho intervistato Franco il 24 agosto, per chiedergli un ricordo sul suo amico Arrigo Levi, morto a 94 anni. E lui in poche parole, perché era uno di poche parole, mi ha fatto il quadro completo ripercorrendo gli anni 70, 80 e 90. “Altri tempi” mi aveva detto, “tutto scorre”, aveva aggiunto citando inconsapevolmente Eraclito ma aggiungendo che il bello resta. La sua Tagliacozzo resta. “Diceva Arrigo che la piazza è bellissima”, mi aveva detto Franco, “e anche io dico che è la più bella del mondo. Che vuoi di più?”. Nella sua mente tutto era chiaro, riconosceva lucidamente i cambiamenti, in peggio, ma anche in meglio, del tempo, della società, della sua città, di cui rimane un punto fermo, un ricordo indelebile e piacevole, un passaggio obbligato per tante generazioni.