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Debutto nazionale il 4 agosto al Festiv’Alba: Alessandro Machìa firma la regia del nuovo “Oreste” di Euripide

Redazione Abruzzo di Redazione Abruzzo
28 Luglio 2025
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Massa d’Albe. Debutta in prima nazionale il 4 agosto 2025 al FESTIV’ALBA di Alba Fucens “Oreste” di Euripide, nell’adattamento e regia di Alessandro Machìa, produzione Làros di Gino Caudai e Compagnia Zerkalo.
Lo spettacolo sarà successivamente presentato al PLATUS FESTIVAL di Sarsina (12 agosto) e al TINDARI FESTIVAL (30 agosto), in una tournée estiva che coinvolge tre importanti festival di teatro classico.

Nel ruolo di Oreste l’attore Marco Imparato. Pino Quartullo interpreta Tindaro e il dio Apollo. Giulio Forges Davanzati è Pilade, Alessandra Fallucchi veste i panni di Elettra, Claudio Mazzenga è Menelao, Silvia Degrandi interpreta Elena, Alessia Ferrero è Ermione. Completano il cast Tommaso Garrè nel doppio ruolo del Messaggero e del Frigio, e Valeria Cimaglia nel ruolo del Coro.

L’allestimento è firmato da Annalisa Di Piero per scene e costumi, Giuseppe Filipponio per le luci, Giorgio Bertinelli per il suono. Tommaso Garrè è aiuto regia, Adele Di Bella assistente alla regia.

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Il progetto nasce da un lavoro di riscrittura e lettura scenica del testo euripideo, con particolare attenzione alla componente tragica e filosofica dell’opera. L’Oreste di Euripide, composto nel 408 a.C., è un testo che affronta i temi della responsabilità, della giustizia e del rapporto tra l’umano e il divino in un momento di crisi della polis ateniese.

Al centro del dramma, la figura di Oreste, perseguitato dal rimorso e da una giustizia terrena e divina che si mostra inefficace, diventa occasione per una riflessione sull’autonomia dell’individuo e sull’illusione della conciliazione imposta dall’alto. L’intervento finale del dio Apollo non risolve il conflitto, ma sottolinea l’impossibilità di una catarsi reale.

NOTE DI REGIA:
Rappresentato per la prima volta nel 408 a.C. in un’Atene logorata dalla guerra e ormai vicina alla sconfitta definitiva, l’Oreste di Euripide è la libera e corrosiva rilettura di uno dei miti più rappresentati nel teatro tragico. Oreste, braccato dalle Erinni e preda dei rimorsi per il matricidio commesso, viene condannato a morte dall’assemblea degli Argivi. Abbandonato al suo destino dal dio Apollo – che l’aveva spinto al delitto – e dal pavido zio Menelao, che ritorna vanesio e trionfatore fingendosi estraneo a ogni responsabilità; perseguitato dalle Erinni e in preda al deliquio, in uno stato di allucinazione e di profonda prostrazione psichica, Oreste medita una sanguinaria vendetta su Elena e Menelao – forse l’unico atto totalmente libero e pienamente cosciente del giovane figlio di Agamennone. Ma non riuscirà a portare a termine il suo piano omicidiario, il suo gesto di libertà, per il bizzarro ed estremo intervento di Apollo, che imporrà la pace tra il giovane matricida e Menelao, divinizzando beffardamente Elena, la causa di tutti i mali tra greci e troiani.
Vicenda cupa e angosciosa dal finale solo apparentemente lieto, Oreste, oltre a essere una delle più riuscite prove drammaturgiche di Euripide, è una vera e propria indagine sul sacro e sul divino coi mezzi della tragedia. Qui, ancor più che nell’Ifigenia in Aulide, Euripide ingaggia un corpo a corpo con le divinità olimpiche, facendo emergere la loro insufficienza e la necessità di un ordine superiore, di una Giustizia: sembra spingere contro le pareti del tragico, sembra volerlo mettere in discussione, decostruire un genere, una tradizione che gli arriva dal modello soprattutto eschileo. Prova ne è la convenzionalità del deus ex machina euripideo – qui ancora più artificioso che nelle altre sue tragedie – che interviene nel momento di più alto parossismo per stabilire una pace solo formale e perciò molto poco credibile.
È proprio l’artificiosità della soluzione finale euripidea a rivelare da un lato la distanza siderale del dio, la sua differenza ontologica rispetto agli umani; dall’altro l’impossibilità di ogni conciliazione e l’illusione della catarsi, che qui appare “bloccata” proprio dalla pervasività del tragico, connaturato all’umano.
A rimanere allora, è l’uomo, abbandonato alle sue scelte e alla sua coscienza. L’irruzione del dio Apollo che ferma Oreste e il suo piano omicidiario, è un gesto di umiliazione dell’umano a cui il Dio non consente nulla di veramente libero, neanche nel male. Euripide anticipa così – per contrasto e in maniera vertiginosa – un tema che si affaccerà soltanto col cristianesimo per poi diventare il tema par excellence della modernità: la libertà.
Alessandro Machìa
Alessandro Machìa è regista, pedagogo teatrale e fondatore della Compagnia Zerkalo, riconosciuta dal MiC all’interno del FUS. Laureato in Filosofia, è tra i massimi esperti italiani dell’opera di Jon Fosse (Premio Nobel 2023), autore a cui ha dedicato studi, regie e pubblicazioni accademiche.
Ha collaborato con registi come Giancarlo Sepe, Marco Tullio Giordana, Mario Missiroli e attori del calibro di Giorgio Albertazzi, Elisabetta Pozzi, Enrico Lo Verso, Mascia Musy, Paolo Bonacelli.
La sua ricerca registica indaga il rapporto tra parola, silenzio e verità, in una forma di teatro poetico e popolare, che intreccia sottrazione, presenza e tensione spirituale.
ORESTE
di EURIPIDE
ADATTAMENTO E REGIA di ALESSANDRO MACHÌA
con
TINDARO/APOLLO PINO QUARTULLO
ORESTE MARCO IMPARATO
PILADE GIULIO FORGES DAVANZATI
ELETTRA ALESSANDRA FALLUCCHI
MENELAO CLAUDIO MAZZENGA
ELENA SILVIA DEGRANDI
ERMIONE ALESSIA FERRERO MESSAGGERO/FRIGIO TOMMASO GARRÉ
CORO VALERIA CIMAGLIA
LUCI: GIUSEPPE FILIPPONIO | SCENE E COSTUMI: ANNALISA DI PIERO
| SUONO: GIORGIO BERTINELLI
AIUTO REGIA: TOMMASO GARRÉ | ASSISTENTE ALLA REGIA: ADELE DI BELLA
| UFFICIO STAMPA: NICOLA CONTICELLO e MARCO GIOVANNONE
Produzione LÀROS DI GINO CAUDAI e COMPAGNIA ZERKALO
 

 

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