Avezzano. “Sempre più numerosi i graditissimi ospiti che si avvicinano al nostro ‘credo accademico’, al momento di svago colto, sia esso strettamente connesso alla gioia della convivialità, misto di richiami ancestrali e della buona, sana, genuina cucina. Tutto questo nel ‘Convivio in Fiore’ del 15 giugno presso l’elegante, rinnovato Ristorante Le Ginestre”. Così in una nota il delegato dell’accademia italiana della cucina Franco Santellocco Gargano racconta la giornata trascorsa nel ristorante di Avezzano.
“Che già nell’Aperitivo ( verdure in tempora, bruschette profumate di campo….) l’invito a festa, festa culinaria, con risotto caprino-maggiorana e croccante guanciale, e ancora mafaldine con prevalente polvere di olive nere, o ancora arrosto con salsa chimiciurri. Insomma lo chef Minghino ha messo in luce la sua ormai nota professionalità. In onore sia degli ospiti che della giovanissima e già pluripremiata Relatrice, dr.ssa Francesca Trinchini, l’Inno Nazionale, nella splendida voce del soprano Ilenia Lucci, ha preceduto il rituale, classico suono della campana. Bene l’operato del Simposiarca Bruno Bernardi nel destreggiarsi fra i tanti interventi, susseguente all’applauditissima Relazione. Dice Francesca che uno dei motivi principali della poetica oraziana è la gioia della convivialità, del sedersi assieme ai propri amici per discorrere, mangiare, bere, ridere. Il protagonista del convivio, naturalmente, è il vino: il vino «che dà libertà», com’è definito nell’Ars poetica, che scioglie gli affanni e le lingue. In Orazio il vino rappresenta il momento della socialità e della comunione con gli altri, ma anche la gioia che va colta oggi, prima che sia troppo tardi: altrimenti, si rischierebbe di diventare come l’avaro di Sat. II, 3, che si ostina a tenere chiuse in cantina le sue botti di pregiato Falerno, mentre a tavola beve aceto. Non a caso, in Od. I, 11, la celebre esortazione a cogliere il giorno è preceduta dall’invito a ‘filtrare il vino’, a rimuovere le impurità, le scorie della vita, per poterne assaporare la parte migliore. Le molteplici valenze del vino nella lirica oraziana sono ben esemplificate dal dittico in chiusura del primo libro delle Odi. La celebre Nunc est bibendum (Od. I, 37) è percorsa interamente dal motivo dell’ebbrezza: i Romani bevono per festeggiare la sconfitta della folle Cleopatra, che, con «la mente annebbiata dal Mareotico», progettava di distruggere Roma; in un ultimo gesto eroico, la regina si era suicidata, lasciando che i serpenti «imbevessero» il suo corpo di veleno. Anche nell’ultima ode del primo libro (Od. I, 38) il vino è protagonista, ma in un contesto radicalmente differente: troviamo Orazio e il suo giovane schiavo intenti a decorarsi le chiome di mirto –
il poeta rigetta il lusso orientaleggiante che vuole un banchetto straripante di rose. Mentre lo schiavo mesce il vino, Orazio beve all’ombra della pergola intrecciata di vite. Anche la rosa simboleggia una gioia breve, ma troppo sfuggente e artificiosa; Orazio preferisce abbandonarsi alla naturale semplicità del mirto, sacro a Venere, e della vite, dono di Bacco. Questo è quanto! Il pensiero di Orazio a noi riportatoci, con simpatia, da Francesca. Del resto ‘il vino ed il cibo: il linguaggio di una comunità’ è il titolo del Convegno programmato per il 1 ottobre ( ore 17 ) dalla Delegazione accademica di Campobasso”.
“Il Delegato Franco Santelllocco Gargano ha avuto compito facile nel congratularsi con Minghino ( originario di Luco dei Marsi ) con Daniela e il suo staff di sala e con accademici ed ospiti per avere reso importante questo momento di sana e genuina convivialità”.