Avezzano. Una sentenza attesa da quasi vent’anni, quindici dall’ordinanza di rinvio a giudizio. Ieri il tribunale di Avezzano ha emesso la sentenza sull’inchiesta nota come “via dei Tulipani”, che portò allo smantellamento del cosiddetto clan Viola, ritenuto responsabile di un vasto traffico di droga radicato nella Marsica e con ramificazioni fino alla costa adriatica. Un procedimento penale lunghissimo, nato da indagini della Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila avviate nel novembre 2005 e conclusosi solo ora con la lettura del dispositivo, che ha definito le posizioni di sedici imputati.
Il collegio giudicante, presieduto da Marianna Minotti con i giudici a latere D’Orazio e Cuomo, ha pronunciato condanne pesanti, ma anche assoluzioni e prescrizioni. Fra gli imputati più noti, Antonio Viola è stato condannato a 12 anni e 2 mesi di reclusione (a fronte di una richiesta del pm Stefano Gallo di 13 anni e 10 mesi). Valerio Viola ha ricevuto 12 anni e 9 mesi, rispetto ai 14 anni e 2 mesi richiesti. Condanna di 12 anni e 10 mesi per Agnieszka Elzbieta Syska, ex moglie di Emiliano Viola. Altri imputati hanno visto pene consistenti: Barbone Iole a 13 anni e 9 mesi, Scavo Nunzio a 11 anni e 9 mesi, Tomaselli Michele a 9 anni e 5 mesi. Ridimensionata invece la posizione di Stepkowska Joanna, condannata a 4 anni e 1 mese. Alcuni sono stati assolti, come Berardicurti Maria Rosaria, Guarnieri Liliana e Syska Moroloslaz Andrei detto Mirek.
Il dispositivo ha inoltre stabilito l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per chi ha riportato condanne superiori a cinque anni, la confisca del denaro sequestrato e il dissequestro parziale dei soli gioielli. Le motivazioni saranno depositate entro novanta giorni. La vicenda giudiziaria mette in luce un problema antico e irrisolto: la lentezza della giustizia italiana. Il collegio difensivo era composto dagli avvocati Sonia Giallonardo, Roberto Verdecchia, Nello Serchia, Fernando Romolo Longo, Andrea Tinarelli, Domenico Quadrato, Domenico Simone, Vincenzo Retico e Maurizio Bogino.
Solo ora, dopo quasi due decenni, la parola fine è stata messa su un processo che fotografa la distanza abissale tra il tempo della giustizia e quello della vita reale. Un clan smantellato, decine di vite trascinate nel vortice dello spaccio e un territorio segnato da un’inchiesta che, pur avendo mostrato efficienza investigativa, ha subito una paralisi giudiziaria che solleva interrogativi profondi: quanto resta intatta la forza di una sentenza quando arriva dopo diciannove anni?