Avezzano. Il compito dei cristiani è quello di ridare un’anima al mondo. Per questo don Aldo Antonelli si è scagliato contro i vescovi italiani e la Cei che ha criticato in modo duro la scelta del governo di non riaprire per il momento le chiese al culto a causa dell’emergenza coronavirus ancora in atto.
“Più che ai “vescovi Italiani” in massa, tra i quali vi sono persone di tutto rispetto”, ha commentato don Aldo, “mi rivolgo a chi, in loro rappresentanza e a nome della Cei, ha reagito agli ultimi provvedimenti del Governo, paventando addirittura la negazione della “libertà di culto”. Ciò in un Paese in cui, pandemia imperante, viene vietato ogni tipo di assembramento e non si capisce per quale motivo le assemblee liturgiche avrebbero dovuto fare eccezione.
Sia chiaro: il mio disappunto e la mia critica non riguardano l’aspetto politico del gesto. Parlo e scrivo come credente e come prete, rivolgendomi a Vescovi che non dovrebbero mai dimenticare la loro vocazione di “pastori” e, quindi, anche di “educatori”!
Voi, purtroppo, gelosi difensori di usanze e costumi scambiati per fede, invece che solerti evocatori di fedeltà più autentiche e meno sospette.
La crisi imposta dalla diffusione del Covid-19, con la chiusura delle chiese, sarebbe potuta essere l’occasione per una riflessione, da parte nostra, sulla deriva “religionistica” e “ritualistica” della fede che, messo in secondo piano il dovere della testimonianza, ha enfatizzato l’aspetto pratico della frequentazione liturgica: un’occasione preziosa per la riscoperta del Vangelo come vera “Buona Novella”, come messaggio di vita, da vivere laicamente, “fuori dal tempio”, così come inizialmente è stato presentato da Gesù e vissuto dai primi cristiani.
Scusatemi se oso affacciare l’impressione che il vangelo che leggete nelle chiese sia diverso da quello che praticate nei rapporti coi fedeli in generale e con i Politici in particolare. In questo tempo di chiese vuote avreste potuto ricordare ai cristiani che il loro compito non è quello di riempire le chiese, ma di ridare un’anima al mondo. Era la raccomandazione che spesso facevo ai miei parrocchiani: si va in chiesa per poter essere lievito nel mondo; non si sta nel mondo per andare in chiesa! E ciò non per seguire gusti personali e la mia propria sensibilità, ma per quella radicalità di sequela che vuole che «i veri adoratori adorino il Padre in Spirito e verità», perché «Dio è Spirito. E coloro che lo adorano, in Spirito e verità devono adorarlo» (Gv. 4, 23-24), così come Gesù ricordava alla samaritana che gli poneva il problema se Dio andava adorato nel tempio di Gerusalemme o in quello di Samaria.
Voi avreste potuto e dovuto ricordare al popolo cristiano che la Chiesa non è quella evidenziata dai riti e dalle processioni, ma quella significata da testimoni che in un mondo ove tutti accumulano, loro condividono; in un mondo ove gli individualismi in conflitto lottano per prevalere, c’è una chiesa che nella quotidianità sa farsi servizio, nella logica del dono di sé, della preoccupazione e della cura per l’altro.
E invece no! Voi volete riportarci al passato. A imprigionare nella sacralità del rito ciò che il Maestro ci ha invitato a testimoniare nella vita. Anche in questo tempo di Pasqua avreste potuto ricordare l’evento con l’unica figura consegnataci dai Vangeli: l’Angelo che davanti al sepolcro vuoto esclama: «Chi cercate? Non è qui! Andate in città. Là lo troverete!». E invece no! Avete, ancora una volta, perso l’occasione di trasformare il semplice dato temporale, “Cronos”, nel più pregnante ed evangelico momento propizio, “Kairos”.