Tagliacozzo. “Ho bisogno di aiuto, ho bisogno che qualcuno mi ascolti”. Questo l’appello di Laura, la compagna di un malato terminale con forti dolori e crisi respiratorie. “Ho portato il mio compagno in una clinica dove gli hanno programmato l’intervento all’ernia ombelicale per il 6 settembre”, racconta Laura, “il 29 agosto stava già troppo male e allora ho deciso di portarlo subito, in quell’occasione l’anestesista ha scoperto che non potevano anestetizzarlo per effettuare l’operazione a causa di una patologia che già aveva in stadio avanzato. Il 31 agosto è stato ricoverato. Il 2 settembre ho ricevuto una telefonata di notte da una dottoressa che mi chiedeva di rimanere in stanza con lui perché non riuscivano a gestirlo. Dal 3 settembre ogni notte fino all’ora di pranzo stavo in stanza con lui e lo assistevo in ogni cosa mi fosse possibile. Mi è stato rimproverato dai dottori che io sarei dovuta stare 24 ore su 24 ma noi abbiamo un’attività che ci porta dà vivere e dobbiamo mandarla avanti. Il 17 settembre è stato dimesso e ha concordato con la clinica il servizio di assistenza domiciliare Adi. A quel punto ho telefonato al medico di famiglia per attivare il servizio e lui mi ha detto che la clinica avrebbe dovuto inviare una richiesta via fax al servizio Adi di Tagliacozzo”.
“Vorrei precisare”, spiega la signora Laura, “che nelle dimissioni non è stata menzionata la necessità della terapia antidolore, solo controlli e analisi tra una settimana pur sapendo che il paziente aveva bisogno di una terapia del dolore. Dopo 4 ore a casa sono iniziate le crisi respiratorie e ho chiamato disperata la guardia medica che gli ha somministrato delle gocce. Con solo queste gocce l’ho gestito fino a ieri con dolori e grida. Lunedì mi sono recata dal medico di famiglia che mi ha spiegato che il giorno dopo si sarebbero attivate le cure domiciliari”.
“Dopo martedì mattina ancora nulla”, prosegue Laura, “allora mi sono recata di nuovo dal medico curante che mi ha mandato all’ufficio Adi dell’ospedale di Tagliacozzo. Da lì hanno visto che non era arrivato nessun fax dalla clinica, e così hanno contattato la struttura che ha confermato come il fax non fosse stato mandato perché era sabato e poi la cosa sarebbe passata di mente. A quel punto dall’ufficio Adi mi hanno rimandato dal medico di base per farmi fare una richiesta stavolta però da lui. La notte tra martedì e mercoledì ho passato una notte d’inferno, non sapevo come gestire i dolori del mio compagno. Mercoledì mattina ho deciso di chiamare l’ambulanza e i medici gli hanno dato un calmante ma non la morfina perché serve il permesso del medico anestesiologico. Alle 17 di pomeriggio sono stata costretta a lasciarlo da solo in casa per recarmi nuovamente dal mio medico che è subito venuto a casa personalmente. Alle 18 è arrivato e ha chiamato telefonicamente l’anestesista che è venuta ieri mattina alle 9 prescrivendogli delle flebo e somministrandogli della morfina e assicurandomi che gli infermieri e i medici dell’Adi sarebbero arrivati in giornata. Oggi, venerdì, fino all’ora di pranzo non si è visto nessuno. Sono disperata”.
“Credo che ogni paziente abbia il diritto a trascorrere gli ultimi giorni della sua vita in casa”, conclude la signora Laura, “scegliendo l’amore delle persone che lo circondano, ma in Italia, a quanto pare, non è possibile. Io sono tedesca e vivo a Tagliacozzo, la città del mio compagno, da molti anni. Vi posso assicurare che negli anni trascorsi in Germania non ho mai assistito a episodi simili”.