Avezzano. Le festività natalizie corrono veloci e quasi senza tempo, sono avvolte da un’atmosfera familiare e colma di calore. Gli ultimi giorni di dicembre sono dedicati– in particolare – ai bilanci di fine anno a livello personale, locale, regionale e nazionale. Ci si ferma un attimo da soli con sè stessi: ognuno di noi riflette sulle proprie gioie, sui dolori, sulle attese e sulle proprie speranze. Di tutti i bilanci che ho letto, uno ha colpito la mia attenzione: l’articolo edito da Marsicalive dal titolo “Nasce il bimbo numero 999 ad Avezzano, nel 2017 sono state 628 le interruzioni di gravidanza”; forse complice la mia formazione culturale e professionale, l’attenzione è stata totalmente assorbita da quel numero cosi terribilmente alto: 628 aborti. L’articolo non specifica se c’è distinzione tra interruzioni volontarie e aborti spontanei (anche se mi sembra che lo lasci intendere) ma comunque, all’interno di una fredda e asettica analisi, parliamo di un numero molto alto per un bacino come quello marsicano; se invece volessi parlare con il cuore direi che il mondo intero dovrebbe piangere per un solo bambino abortito.
Papa Francesco, in un discorso del 2014 rivolto ai membri del Movimento per la vita italiano, ha ribadito con forza che «La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l’aborto e l’infanticidio sono delitti abominevoli»; questa consapevolezza da parte della Chiesa nasce da presupposti scientifici e filosofici di cui non è opportuno qui dilungarmi troppo ma che può essere sintetizzata nel fatto che nella prospettiva dell’antropologia personalista appare con sufficiente chiarezza che la realtà dell’essere umano … per tutto il corso della sua vita, prima e dopo la nascita, non consente di affermare né un cambiamento di natura né una gradualità di valore morale, poiché possiede una piena qualificazione antropologica ed etica. (Dignitas Personae n. 5).
Nella mia testa però non c’è più il numero 628 ma il numero 1.256 che risuona. Mi spiego: per ogni bambino abortito (o per ogni interruzione volontaria di gravidanza se preferiamo chiamarlo così) c’è una donna che più o meno consapevolmente ha dovuto prendere una decisione dolorosa. A livello sociale il periodo della gravidanza viene descritto come il momento di massima realizzazione e gli vengono attribuiti solo aspetti positivi. In realtà essa rappresenta un momento estremamente delicato e importante nella vita della donna che si trova a vivere dei cambiamenti sia dal punto di vista fisico che psichico. Se la scoperta della gravidanza avviene in condizioni poco favorevoli (per esempio durante l’adolescenza, in assenza di una relazione stabile o dell’appoggio del partner, piuttosto che in presenza di fragilità pregresse) essa può rappresentare un momento molto critico anche in virtù del fatto che si sono attivati quei processi maturativi che rendono la donna maggiormente vulnerabile.
Questo spiega perché le donne, quando si trovano a dover scegliere se portare a termine una gravidanza, vivono sentimenti ambivalenti e dolorosi. La fragilità psicologica determinata dallo stato di gravidanza porta ad una sensazione di minore fiducia di sé e di percezione di inadeguatezza. Nulla giustifica un atto intrinsecamente sbagliato ma sempre va posta una cura particolare ed un’attenzione alla persona. La Chiesa Cattolica da sempre è presente nel proporre un’alternativa all’aborto, cercando di farsi compagna di viaggio all’interno di questi grandi drammi, con parole e con gesti concreti. Esistono delle realtà meravigliose nella nostra diocesi: penso al Centro Famiglia Amore e Vita, al Movimento per la Vita, al Consultorio Familiare Cattolico, all’Associazione Medici Cattolici; realtà pioniere della nostra diocesi, formate da laici impegnati. È tempo di uscire per raggiungere tutte le periferie esistenziali perché ogni giorno del nuovo anno che viene si trasformi in un inno alla vita!
Laura Ciamei *
*Laureanda in Bioetica all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum