Avezzano. Incassa un vaglia clonato di 100mila euro e le Poste se la prendono con la dipendente allo sportello. Ora il tribunale del lavoro ha rigettato il ricorso presentato da Poste italiane contro la cassiera dell’ufficio di Avezzano.
Alla donna, una sportellista vicina alla pensione, era stata comminata una sanzione disciplinare di sospensione dal servizio per due giorni con privazione della retribuzione perché ritenuta responsabile di non aver riconosciuto il vaglia postale clonato, permettendo l’incasso di cinquemila euro.
La sentenza della Corte d’appello dell’Aquila, a firma del giudice Anna Maria Tracanna e del presidente Ciro Marsella, scagiona in toto la donna, assistita dall’avvocato Salvatore Braghini, e condanna Poste italiane alle spese legali per il doppio grado di giudizio.
La società, infatti, ha deciso di presentare appello contro la sentenza del dicembre 2020 del giudice del lavoro di Avezzano, Antonio Stanislao Fiduccia, che aveva rigettato il ricorso con il quale Poste italiane avevano chiesto di accertare la legittimità della sanzione disciplinare: la sospensione dal servizio per 2 giorni con privazione della retribuzione. Le poste avevano addebitato alla dipendente una condotta negligente perché non aveva riconosciuto il vaglia falso di 100mila euro.
Lo corte ha ritenuto determinante quanto riferito durante il processo dall’ispettrice antifrode dell’azienda, che ha confermato che l’assegno fraudolento era non riconoscibile. A fronte di tutto questo, il Collegio ha pienamente condiviso quanto affermato dal giudice di Avezzano, che aveva ritenuto che lo strumento utilizzato dall’azienda per divulgare le direttive sulla importante procedura antifrode non poteva ritenersi idoneo a garantire che tutti i dipendenti riconoscessero un vaglia falso.
La vicenda ha talmente scosso la vita lavorativa dell’impiegata tanto da comprometterne la salute, come accertato da un’altra sentenza del tribunale di Avezzano.
Secondo il legale marsicano, “la dipendente si aspettava maggiore protezione dall’azienda, in cui ha lavorato per 35 anni, senza incorrere in nessuna sanzione, e invece l’obiettivo perseguito da Poste italiane è sembrato essere il recupero dei 100mila euro piuttosto che perseguire l’autore del reato. La lavoratrice ha dovuto sopportare che il presunto negoziatore del titolo clonato continuasse ad avvalersi dei servizi nello stesso ufficio postale, ritrovandoselo persino davanti al proprio sportello”.
Ora per la donna l’incubo è finito.