Pescina. È recente la notizia secondo la quale la Regione Abruzzo torna ad occuparsi del premio internazionale Ignazio Silone. L’ultima edizione, tenutasi il 29 e 30 Aprile 2016 a Pescina, era stata realizzata grazie allo sforzo comune di Regione Abruzzo, Comune di Pescina e Centro studi “Ignazio Silone”. Al centro delle celebrazioni il ricordo dell’autore abruzzese e la celebrazione della sua eredità letteraria che non conosce oblio pur dopo quasi 40 anni dalla sua scomparsa.
L’edizione 2017 del Premio Silone si svolgerà il 22 agosto, data di morte dell’autore, e verrà aggiunta una nuova sezione di premio dedicata ai Social Media e al mondo di internet che valorizzeranno la figura di Silone. Questo perché i nuovi mezzi di comunicazione, per quanto tecnologici e contemporanei, sanno comunque avere un ruolo nella valorizzazione della cultura italiana e Silone ne fa parte a pieno titolo per spessore e insegnamento culturale e sociale. Ma come si è riusciti a perpetuare la memoria di Silone attraverso gli anni? Qual è il segreto per mantenere viva la memoria di uno scrittore e contestualizzarla nell’epoca moderna? Sicuramente con il già menzionato coinvolgimento dei new media, ma c’è dell’altro.
Hanno avuto una parte innegabile il suo talento e la conseguente importanza a livello letterario; tuttora Silone è uno degli autori più importanti del Novecento italiano. Ma ha giocato a suo favore anche il legame con la sua terra, l’Abruzzo. A testimonianza di ciò iniziative particolari a lui dedicate, come per esempio il Sentiero Silone, un percorso naturalistico ricavato proprio dalle descrizioni che l’autore ha fatto della sua terra, le sue montagne, i suoi panorami.
Ma Silone non è solo un nome che si dà a premi, centri studi e scuole, anche se rimane nel cuore di tutti la scuola a lui dedicata a Poggio Picenze, vicino a L’Aquila, duramente colpita dal sisma del 2009. Numerosi gli eventi di beneficenza per ricostruirla e la partecipazione di tante personalità dello sport e dello spettacolo come ad esempio Francesco Totti, Giorgio Rocca e il campione del tavolo da gioco Luca Pagano.
La verità è che è impossibile parlare di Ignazio Silone senza menzionare il suo capolavoro assoluto, Fontamara, un libro tuttora studiato nelle scuole, un testo che sa essere contemporaneamente una lezione di storia e di modernità, con la sua scrittura cruda e il tocco lieve eppure amaro. Fontamara è diventato un luogo simbolo dell’Abruzzo con una storia che si sviluppa nell’estate del 1929 inun paese immaginario della Marsica – Fontamara, per l’appunto – nel quale è facile riconoscere i tratti dell’attuale Pescina.
A narrare i fatti sono quelli che Silone ha ribattezzato “i cafoni”, cioè i lavoratori della terra, che nel libro subiscono i soprusi di una vita difficile e amara. Il potente approfitta dell’ignoranza, della buona fede e della credulità dei contadini con trucchi che li confondono e finte concessioni che poi si rivelano truffe. E a quel punto loro, i cafoni, non possono fare più nulla per vincere, possono solo soffrire. Fontamara è l’amara metafora degli ostacoli della vita. Tutti ci siamo chiesti, almeno una volta, se non ci siano modi per affrontarli; la risposta oggigiorno è sì, fortunatamente, ma tutto questo non vale per i cafoni di Silone negli anni Venti. Il loro destino è segnato, ineluttabile, drammatico. Numerose le interpretazioni a cui si presta questo capolavoro della letteratura italiana, per esempio la lucida analisi di Oriana Sipala in Criticaletteraia.
È inevitabile chiedersi, allora, se ha ancora un senso leggere Fontamara dopo più di 70 anni dalla prima pubblicazione (correva l‘anno 1945) e la risposta non può che essere sì. Sì perché questo romanzo corale è una finestra eccellente sulla storia dell’Italia e della Marsica in particolare. Sì perché il romanzo corale, nelle ultime pagine, si trasforma in un racconto della figura di Berardo Viola, un quasi-protagonista, un eroe sorprendentemente positivo che si sacrifica per un ideale e insegna ai suoi compaesani a battersi per la loro dignità. Ma sì soprattutto perché è espressione dell’Ignazio Silone scrittore che ha saputo infondere l’essenza della sua terra in ogni parola, alternando anche momenti più lievi, racconti di amori e pettegolezzi che rendono l’idea di quello che è stato essere contadini, ma soprattutto persone comuni nel 1929. Provati dalla vita ma terribilmente umani e, per questo, ancora vicinissimi a noi italiani di oggi.