Tagliacozzo. Ecco qui un’altra vicenda che vede protagonista la malagestione della Asl1 durante questa emergenza sanitaria. Questa volta il racconto proviene dalla città di Tagliacozzo e ha anche un trascorso molto più pesante. A parlare è la figlia del paziente coinvolto, un uomo sulla sessantina, che ha dovuto trascorrere trenta ore prima di essere ricoverato, con febbre e respiro affannoso, senza cibo né acqua.
“Quello che andrete a leggere è un esempio di malasanità che poteva costare molto caro a mio padre”, esordisce la giovane, “Il 15 ottobre, in seguito a tampone effettuato privatamente per indisponibilità di qualsiasi altra struttura pubblica, sono risultata positiva al Covid19. A distanza di tre giorni, l’ufficio di Igiene e Prevenzione mi ha contattato e ho fatto presente al Dottor Lancia che anche padre accusava la febbre da 2 giorni e aveva bisogno di un possibile tampone. Da quella chiamata, il dottore non si è fatto più sentire. Continua il racconto, “Dopo una settimana, entrambi i miei genitori sono stati convocati tramite mail per il tampone drive-in data lo stretto contatto di convivenza con me. Purtroppo però entrambi non sarebbero potuti andare perché mio padre aveva già la febbre da 9 giorni, l’altra è senza patente e io, per positività al virus, non potevo uscire di casa se non rischiando il carcere. Ho chiamato per ore la Asl, senza alcuna risposta e alla fine sono stato costretta effettuare anche io la comunicazione tramite mail. Lo stesso giorno, le condizioni di mio padre sono peggiorate. Ho chiamato il 118, ma l’operatore mi ha risposto che al momento non avevano mezzi a disposizione e che avrei dovuto richiamare più tardi”.
Dopo quattro ore, finalmente mio padre è stato trasportato all’Ospedale di Avezzano. Se quello finora è sembrato un calvario, la vera agonia di trenta lunghissime ore cominciava proprio ora. Arrivato al piazzale del Pronto Soccorso, mio padre è stato abbandonato dentro l’ambulanza da solo con la febbre ed il respiro che cominciava ad essere affannato. Mi ha chiamato e ricordo ancora le sue parole impaurite “Cara, non mi sento per niente bene. Sono solo, ho freddo, non c’è nessuno”. Tramite un ragazzo che presta servizio nella Protezione Civile, ho potuto contattare l’autista dell’ambulanza per far provvedere almeno ad accendere i riscaldamenti. Dopo altre 3 ore, mio padre è stato finalmente sottoposto al tampone, ma era ancora solo in ambulanza, lucido grazie all’autosomministrazione di Tachipirina che, personalmente, gli avevo messo in tasca insieme al caricabatterie del telefonino. In tarda serata, un suo ulteriore messaggio”Aiutami, sto male”. La febbre saliva, non poteva andare al bagno, aveva sete. Come potete capire, ero disperata. Ho chiamato mia sorella e insieme abbiamo cercato di metterci in contatto con il Pronto Soccorso affinché qualcuno si potesse attivare. Alle 23.30, il personale ha finalmente visitato mio padre, giustificandosi con il fatto che l’esito del tampone che tardava ad arrivare. Mia sorella continuava a chiamare preoccupata sino a mezzanotte, quando il centralinista del pronto Soccorso, in preda anche allo stress, ha agganciato maleducatamente il telefono a mia sorella che chiedeva informazioni di mio padre.
Mio cognato si è recato perfino alla caserma dei Carabinieri di Tagliacozzo per sporgere denuncia, ma gli è stato risposto che la cosa non era di loro competenza. All’1:15, mio padre era ancora in attesa in ambulanza, per un secondo tampone dopo la positività al primo e solo alle 2:30 è stato sistemato all’interno dell’ospedale, in una stanzetta provvisoria, con altri 3 pazienti positivi. Alle 3:30 è stato sottoposto a prelievo e tac dopodichè lasciato lì in attesa di un posto letto fino alle 19 del giorno dopo, senza una medicina, senza un bicchiere di acqua. Un solo panino datogli alle 15:30 dopo varie telefonate effettuate da me e mia sorella. Quel pomeriggio sono stati ricoverati altri pazienti, arrivati anche dopo di lui. Alla fine, hanno deciso per il ricovero. Esattamente 30 ore dopo il suo arrivo in ospedale. La sera, la febbre saliva ed il respiro iniziava ad essere compromesso. Mio padre suonava ripetutamente il campanello, ma senza alcun risultato, infatti, l’infermiera una volta recatasi in stanza per la terapia, informava mio padre che il campanello non funzionava (in un reparto Covid dove la tempestività del personale dovrebbe essere assicurata? Mi chiedo!). Oggi finalmente, il mio papà è a casa dove continuerà la cura contornato dagli affetti della famiglia. In ultimo, il mio tampone di controllo è stato effettuato il giorno 27, unitamente a quello di mia madre e, ad oggi, 1 Novembre non abbiamo nessuna notizia!!!
Questa è forse la situazione sotto controllo dell’assessore Verì, del manager Testa e del presidente della regione Marco Marsilio? @RaffaeleCastiglioneMorelli