La chiamano Generazione X, la X generation. Sono i nati negli anni ’70, quelli che oggi hanno tra i 40 e i 50 anni. La descrivono come la generazione perduta, dei giovani apatici, senz’anima, inutili alla società nella quale sono cresciuti, quella generazione scialba arrivata dalla crisi energetica e dall’austerity, quella generazione che ha inventato la parola ecologia, dei ragazzi confusi in balia degli eventi, tra il terrorismo rosso di matrice comunista e il terrorismo nero di matrice neofascista, spettatori inermi degli anni di piombo.
Ci descrivono come una generazione senza valori, ma noi di valori, forse a volte semplici ma spesso sani, ce li avevamo, e come.
Io la chiamo la generazione V (vita vissuta, valori veri).
Siamo la generazione cresciuta in mezzo alla strada, la generazione dell’estate. Quando arrivava non ci fermava più nessuno. A quei tempi era sempre una festa. Bastava uscire di casa per ritrovarsi in mezzo alla strada per una nuova avventura, sempre diversa. E quando il sole calava e le gambe non ci tenevano più per la stanchezza non volevamo mai rincasare, volevamo restare in mezzo alla gente, in mezzo alla strada, fino allo sfinimento, sperando che qualcos’altro accadesse, che iniziasse a grandinare, o magari qualcuno accendesse un fuoco in mezzo al prato e arrivasse giorno di nuovo, e ricominciare a correre, fino a quando facesse buio ancora una volta, e poi ancora giorno, per ricominciare da capo a stare tra la gente del quartiere, tra gli amici, tra le famiglie, tra vicini di casa, aspettando qualcosa di nuovo, perché ogni giorno era nuovo ed era unico. Perché non avevamo paura di niente e di nessuno, perché camminare per strada, anche con le scarpe rotte e coi piedi sanguinanti, era leggero come danzare.
Siamo la generazione forgiata da una società difficile, che non ha vissuto la povertà della guerra come i Baby Boomers (’40 – ’60), ma che ha vissuto la povertà sociale, psicologica, la peggiore. La generazione della disoccupazione, del precariato, che ha visto attraversare il mondo da cambiamenti epocali, dirompenti rispetto al passato, così forti che neanche la pandemia degli Screenagers (dal 2010) è alla pari, così rivoluzionari che i Millennials (tra ’80 e 2000) o quelli della Generazione Z (dal 2000) non potranno mai capire.
Siamo quelli condotti dai tempi alla tattica del rinvio, cioè portati a sposarsi solo dopo i 30 anni, a lavorare prima di finire gli studi, quelli colpiti dalla sindrome del ritardo, costretti a rimanere a casa di mamma e papà fino ai 40 anni.
Siamo quelli della caduta del muro di Berlino, noi siamo gli “immigrati digitali“, quelli nati prima di internet e cresciuti con internet, quelli costretti a passare dalle chiamate infinite dentro alle cabine telefoniche ai cellulari. Ma siamo anche gli “immigrati musicali“, quelli che hanno usato sia le cassette che i cd.
Siamo quelli del boom delle sale giochi e del Commodore 64, la generazione MTV, della Milano da bere, dei paninari e dei metallari, ma anche quella del Giubileo del 2000, quelli con la paura della guerra del Golfo, concreti ma anche sognatori, idealisti, con le frasi di Jim Morrison sul diario e i poster di James Dean in cameretta.
Siamo quelli delle canzoni intorno al fuoco con la chitarra e non intorno al karaoke, quelli dei walkman in tasca e con la gelatina sui capelli, la generazione delle proteste pacifiche e dell’occupazione delle scuole, e delle chiese piene di ragazzi.
Siamo anche quelli delle tristi olimpiadi a metà, dell’attentato al Papa, dei mondiali di Pablito e il presidente Pertini, della notte indimenticabile con la coppa alzata al cielo di Dino Zoff, del disastro del Challenger, e della love story più bella di sempre con Il tempo delle mele, della cometa di Halley e di Chernobil, delle manifestazioni di piazza Tien an men, della tensione internazionale tra Usa e Urss e dello scudo spaziale.
Siamo vissuti quando tutto era possibile, anche che una sconosciuta cameriera al minimo salariale potesse diventare la numero uno assoluta della musica pop e chiamarsi Madonna.
Siamo la generazione cresciuta con i film più belli di sempre, con la fantascienza di Ritorno al futuro e l’avventura di Indiana Jones, l’azione vera di Arma Letale e Rambo ma anche i cult Nove settimane e mezzo, Full metal jacket e L’attimo fuggente. E poi Terminator, Una pallottola spuntata, Fuga per la vittoria, Roky, ma anche il film inchiesta The day after, che scioccò l’America e il mondo.
Siamo quelli arrivati prima del binge watching e dello streaming online on demand, con le serie tv infinite costrertti ad aspettare un giorno per vedere la puntata successiva, o addirittura una settimana, quelli cresciuti con l’A-Team e McGyver, del boom di Dallas e Dynasty, delle risate non volgari dei Robinson e dei Jefferson, di Arnold e della Famiglia Addams. Quelli col mito di Fonzie di Happy days, ma anche della Casa nella prateria e di School of performing arts (Saranno famosi). E poi Hazzard, Supercar, Automen, Mark McCormick, La Ferrari rossa di Magnum PI.
Siamo quelli dei supereroi leali e buoni, L’incredibile Hulk, La donna bionica, L’uomo da sei milioni di dollari Steve Austin, Wondre woman, Zorro, Sandokan e Tarzan.
La generazione dei poliziotti che non ammazzavano, Frank “Ponch” Poncharello e John Baker dei Chips, Starsky e Hutch, Colombo e Miami Vice. Quelli dei miti italiani come I ragazzi della terza C, Classe di Ferro, Love me Licia, X files, Stranger Things, ma quello originale.
E poi i programmi tv Drive In, Indietro Tutta, Quark, Colpo grosso, Portobello, 90° minuto.
E dei cartoni animati, come Goldrake, Jeeg robot d’acciaio, Il grande Mazinga, Mazinga z e dei cartoni “Shojo” sui sentimenti come Candy Candy, Lady Oscar, Dolce Remi, Heidi, Bia e Le streghette.
Siamo quelli dello sport dei record e dei sogni, la mano di dio che fermò gli inglesi, Borg cinque volte sul trono di Londra, il bronzo di Mennea sui 200, la volata nei 10.000 del baffo di Alberto Cova, il grande Alberto Tomba che entra nella storia mondiale, i fratelli Abbagnale con la telecronaca di Galeazzi, Michael Jordan che guida la Nazionale di basket al successo olimpico, Niki Lauda che vince il Mondiale di Formula 1.
Siamo la generazione che giocava a pallone con il Super Tele e quando c’era un pallone di cuoio la strada con le porte coi sassi sembrava San Siro, quelli che giocavano col cubo di Rubik, al Subbuteo e al Biliardino, a Risiko e a Monopoli, che mangiavano i prodotti pieni di coloranti e conservanti e la girella Motta, che attaccavano ovunque gli adesivi del Camel Trophy, che andavano in bici con le bellissime Bmx e in moto sui mitici cinquantini come il Ciao, il Sì, il Fifty e la Vespa Px, e che facevano fino a 20 anni le figurine dei calciatori.
Siamo quelli degli “anni ballando, ballando, Reagan-Gorbaciov, danza la fame nel mondo, un tragico rondò, noi siamo sempre più soli, singole metà, anni sui libri di scuola e poi che cosa resterà. Anni di amori violenti litigando per le vie, sempre pronti io e te a nuove geometrie, anni vuoti come lattine abbandonate là, ora che siamo alla fine noi di questa eternità..”.
Questo siamo.
Forse è poco, ma tutto quello che abbiamo fatto ce lo siamo sudato e l’abbiamo fatto con passione.
Forse è vero, ci siamo sentiti una generazione perduta, ma mai arresa.
Forse è vero, abbiamo cambiato mille lavori, ma oggi siamo noi il mondo del lavoro (circa il 60% dell’attuale forza lavoro)
Forse è vero, abbiamo vissuto finora con la necessità del cambiamento, ma alla fine ce l’abbiamo fatta a cambiare il mondo, quello che in fondo volevamo.
Forse è vero, abbiamo faticato a trovare noi stessi, ma ci siamo trovati.
Forse è vero, siamo stati la generazione invisibile, ma il mondo ci ha visto e continua a imparare guardando indietro.
Forse è vero, abbiamo rifiutato i valori del passato, ma mai i valori.
Generazione X