Avezzano. Da pochi giorni è uscito nelle librerie “Vito Taccone, il camoscio d’Abruzzo”, la biografia del ciclista avezzanese scritta da Federico Falcone e pubblicata da “Radici Edizioni”. Il libro è una ricca e piacevole antologia del grande Vito Taccone, uno degli atleti più apprezzati e rappresentativi della storia del ciclismo, ma è anche la storia della nostra regione nell’immediato dopo guerra, e della Marsica, già messa in ginocchio dal terremoto del 1915.
Federico Falcone con un linguaggio giornalistico moderno e ammaliante che ricorda molto da vicino quello del suo omonimo Buffa, ci permette di rivivere le avventure e gli aneddoti del “camoscio d’Abruzzo”. Snocciola dati, mette a confronto statistiche, analizza e interpreta le tante imprese sportive: tutto nel libro è funzionale al racconto che l’autore vuole dipingerci davanti agli occhi, e con cui viene contestualizzata la storia di uno dei più grandi sportivi abruzzesi di sempre, che ha saputo fare della caparbietà di un popolo la sua bandiera. Descrivere Taccone è un’impresa dura, assolutamente non facile, soprattutto il Taccone personaggio, che o si ama o si odia. Ma Federico Falcone è riuscito a restituirlo al suo popolo nelle sue mille sfumature, sia quelle delle emozioni sportive, a tinte forti, che quelle che toccano il lato umano dell’uomo, che scaldano il cuore.
L’opera è completa e ben strutturata, anche se rispetto alla biografia ufficiale del campione (la miseria, la fuga, la rosa, pubblicata nel 1996), questa è orfana di materiale fotografico e di un buon numero di aneddoti. Ma forse la scelta di Federico Falcone, che in primis è un giornalista, non è stata casuale, ed è servita a non alimentare i tanti falsi racconti (innumerevoli a dire il vero) che girano sul suo conto. E’ evidente che nell’opera di documentazione l’autore abbia puntato alla selezione, escludendo quelle che erano solo delle “sparate” di Taccone, non riscontrate da altre fonti, o smentite da fatti storici.
Questo libro sta facendo molto parlare di sé, riportando l’attenzione su un dibattito da poco tornato agli onori delle cronache, ovvero sulla statua dedicata al campione avezzanese. Su questo aspetto mi trovo perfettamente d’accordo con l’autore, quando dice che bisognerebbe fare come gli americani, maestri di show business soprattutto nel mondo dello sport. Basti pensare che a Philadelphia la statua di Rocky, il personaggio dei film inventato da Silvester Stallone, attira ogni anno migliaia di curiosi che si recano lì anche solo per un selfie, mentre qui la statua di un campione vero non solo non ha la giusta attenzione in città, ma è stata persino vandalizzata e sta prendendo la polvere in un magazzino comunale, al punto che viene da chiedersi se il problema a questo punto non possa essere culturale, che ahimè, sarebbe ben più grave.