Luco. Viene tolto ai genitori accusati, dagli assistenti sociali, di segregarlo in casa. Lui si ribella, ma non è mai stato ascoltato dai giudici. E’ un vero dramma senza via d’uscita quello che sta vivendo una famiglia marsicana a cui è stata tolta la patria potestà del figlio minore e affidata agli assistenti sociali. Il ragazzo, di 17 anni, non può camminare a causa di una sconosciuta malattia, ma sostiene di non voler uscire lui di casa, se non “con le proprie gambe”. Il minorenne, a distanza di sei mesi, non è stato ancora ascoltato dal tribunale per i minori e la fisioterapia, secondo i genitori assistiti dall’avvocato Loreta Massaro, è stata interrotta per imposizione del servizio sociale. Tutti i problemi sono cominciati quando, nel 2013, terzo dei quattro figli della coppia marsicana si è ammalato e ha cominciato ad avere dolore di schiena con numerosi ricoveri per scoprire la causa ancora ignota. Dagli esami strumentali risulta una macchia nera alla quinta vertebra. Il miglior centro di fisioterapia è stato trovato dai genitori al San Raffaele Pisana di Roma dove c’è stato un ricovero di ben cinque mesi. Dopo una segnalazione di un medico, conoscente della famiglia, a metà settembre scorso è arrivato un decreto del giudice che affidava il ragazzo “in via provvisoria e urgente” ai servizi sociali. I genitori, in particolare la mamma, venivano accusati “di tenere segregato mio figlio, di non volerlo curare”. Così c’è stato subito un peggioramento fisico del 17enne. “A novembre era programmato un altro ciclo di riabilitazione a Roma”, racconta la madre, “ma l’assistente sociale ci ha fatto perdere i contatti con il primario del reparto di pediatria. Quando abbiamo provato a ricontattarlo, l’assistente sociale ci ha vietato di tornare lì. Ci dicono, inoltre, che se non stiamo alle regole predisporranno il trasferimento di mio figlio in una casa famiglia”. “Io non esco per mia scelta”, sottolinea il ragazzo, “non capisco perché si dia la colpa di questo a mia madre. Solo quando potrò farlo con le mie gambe tornerò a uscire”. La famiglia si è anche rivolta alla Corte d’Appello senza esito. “Non abbiamo mai avuto il diritto di poterci difendere dalle accuse”, spiegano i genitori, “e il tribunale si è basato semplicemente sulle relazioni delle assistenti sociali. Chiediamo di essere sentiti e chiediamo che anche nostro figlio sia ascoltato dai giudici, visto che ciò non è mai stato fatto e questo è assurdo”.