Avezzano. Era una vera e propria montagna di rifiuti, secondo gli investigatori, quella pronta ad arrivare nella Marsica dall’agro romano fino. A bloccare il presunto piano di smaltimento abusivo sono state le fiamme gialle che hanno sequestrato lo scorso 13 gennaio i primi camion diretti al nucleo industriale di Avezzano. Nel capannone scoperto dai finanzieri al comando del capitano Davide Lorenzo c’era solo una prima parte di rifiuti speciali, tra cui scarti ospedalieri e materiale pericoloso. Ora sono in corso indagini per ricostruire la filiera clandestina di rifiuti che ha fatto venire alla luce un traffico abusivo sempre più diffuso. Secondo gli accertamenti, però, i rifiuti arrivavano dal sud e prima di essere nascosti nei capannoni marsicani c’era una tappa intermedia a Pomezia. Il meccanismo, secondo gli investigatori, è semplice quanto efficace. Vengono presi di mira grossi capannoni industriali abbandonati e magari messi all’asta. Vengono riempiti di rifiuti speciali senza necessità di smaltirli. Si incassano i soldi per il costoso smaltimento, ma poi vengono semplicemente scaricati a spese zero. Pagando solo il trasporto. Poi chi si aggiudica il capannone all’asta si ritrova con la sorpresa all’interno. Il sequestro della Forestale, che ha scoperto un altro capannone nella zona agricola di Luco, dimostra l’attendibilità di queste ipotesi. Infatti la struttura era già stata riempita, a differenza di quella di Avezzano, e tracimava di sostanze di ogni genere. La stessa fine, probabilmente, avrebbe fatto l’immobile scoperto dalla Guardia di Finanza nel nucleo industriale. Le indagini, coordinate dal pm Vincenzo Barbieri, hanno accertato che si trattava di rifiuti pericolosi, scarti ospedalieri, materiale industriale e materiale biologico contenente microrganismi vitali. Un vero e proprio rischio per la salute, secondo gli esperti e i tecnici che hanno eseguito un sopralluogo. Secondo gli accertamenti dei vigili del fuoco di Avezzano. Sono in corso accertamenti da parte di biologi e gli esperti dell’Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente (Arta) che nei prossimi giorni dovranno stilare un documento con le analisi chimiche dei cumuli ritrovati nella struttura industriale. Da una prima valutazione, il materiale stoccato in grandi balle che poi si sono disfatte, per un totale di circa 1.700 tonnellate, potrebbe provenire da attività industriali delle regioni meridionali.