Avezzano. Esce così dalla grande porta accesso diretto al suo regno divino, custode di ogni sorta di profumo e gustosità, con una semplice tenuta come quella di chi ha passato la sua mattinata tra orticello e cucina a sperimentare laboriosamente novità per il palato dei suoi tanto amati ospiti. Mi invita a sedere nella sala principale della sua Mammaròssa e davanti a un caffè inizia la nostra chiacchierata. Cosa si nasconderà dietro l’esperienza dello chef Franciosi a Saperi & Saperi 2016, la grande kermesse del pentastellato Igles Corelli sul wild food? Tre giorni (dal 17 al 19 ottobre) di full immersion ai fornelli dell’Atman a Villa Rospigliosi tra le colline di San Miniato. Un meeting tra i migliori chef italiani per giocare con il selvatico in ogni ambito. E lo chef di Mammaròssa tra incredulità e soddisfazione è partito insieme al sous-chef Francesco D’Alessandro alla volta della Toscana per portare il suo pane. Eh già è stato proprio il pane di Mammaròssa a essere scelto per stare sulle tavole accanto ai piatti dei grandi chef stellati: cestini e composizioni hanno accompagnato i menu messi a punto per la manifestazione. Lo chef Franciosi da sempre appassionato di panificazione e di lievito madre ha portato la sua arte da Igles Corelli, che ancor prima di essere il suo mentore è senz’altro un caro amico. Dall’arrivo nella suggestiva villa patrizia al cuore di Saperi & Sapori, lo chef Franciosi si lascia andare a un racconto di ricordi, tradizioni e poesia in cucina.
- Un invito speciale da parte di uno chef straordinario, Igles Corelli, per partecipare a Saperi & Sapori edizione 2016. Cosa si prova a ricevere una telefonata da una stella della cucina?
All’inizio incredulità. ‘Sei sicuro Igles di volere me all’interno di quel mondo fatto di chef stellati? Igles: no no voglio proprio te’. È stato come vivere un sogno, darsi dei pizzicotti per cercare di capire se era vero o no e poi quando questa cosa si è materializzata in maniera concreta abbiamo cercato di impegnarci al massimo per cercare di fare bella figura.
- Il suo arrivo a Villa Rospigliosi. Come lo racconterebbe…
Villa Rospigliosi è un posto magico, già la Toscana è un posto meraviglioso, con colline ben curate, dove davvero trovi tutto a posto. L’arrivo a Villa Rospigliosi significa sentieri ottimamente tenuti all’interno di una campagna ricca di vigneti e uliveti. Ci si immerge in una dimensione quasi bucolica dove si fa veramente pace con la natura e a un certo punto appaiono in tutto il loro splendore le prime forme architettoniche di questa villa ex residenza papale. Dal cancello si apre un lungo viale circondato da siepi di bossi. Un prato divide la villa dalla chiesa dove i residenti che si sono avvicendati nel corso dei secoli andavano a pregare. E poi arrivare all’interno delle cucine del Maestro che per noi, per me è da sempre punto di riferimento, è stata un’emozione pazzesca.
- Il tema di Saperi & Sapori di quest’anno è stato il selvatico. In una società che predica sempre più spesso la sua indole animalista come si riesce a far diventare sostenibile un’attività che però prende dalla natura e quindi molto spesso uccide l’animale?
Questo è vero ma il selvatico può essere anche una serie di prodotti spontanei: funghi porcini, tartufi, erbe. Il selvatico non fa parte per forza solo del mondo animale anzi il selvatico raccontato a Villa Rospigliosi è soprattutto quello del panorama vegetale, i prodotti dei nostri boschi, dalle castagne all’aglio orsino, al tartufo tutto ciò che di spontaneo possiamo trovare nella nostra natura, quella più incontaminata.
- Lei ha partecipato a Saperi & Sapori invece con un altro elemento, il pane. Quanto c’è di selvatico?
Nel pane forse c’è poco di selvatico anzi nasce all’interno di una dinamica in cui l’essere umano diventa molto meno selvatico di quello che era prima. Infatti qualche migliaio di anni fa quando l’uomo si è fermato ed è diventato stanziale ha cominciato a coltivare anche cereali dando vita a primitive forme di piatti. Ecco credo che il pane possa essere considerato uno tra le prime forme di piatto ad essere stato cucinato con il suo impasto di acqua e farina schiacciata a pietra cotta.
- Quale è stata la reazione degli chef lì presenti nel vedere le sue creazioni di pane?
Essenzialmente è stato bello, perché lì noi eravamo degli outsider rispetto agli altri chef ospitati i quali o si conoscono direttamente o si vedono sulle riviste. Noi eravamo quelli venuti dal freddo e da lontano, ci passavano a fianco e vedevamo i loro sguardi così come per dire ‘ma questi chi sono, che stanno facendo?’. Poi all’improvviso ti accorgevi che tutto diventava più facile: quando una volta sfornato il pane li vedevamo mangiare la prima fetta croccante insieme a noi, allora diventavi uno di loro perché si accorgevano che nel tuo prodotto c’è verità. Tutto si trasformava in un confronto alla pari.
- Il pane non è l’elemento con cui tutti i grandi della cucina amano giocare. Lei ha rotto un po’ gli schemi e cosa l’ha spinta a sperimentare anche questa strada che ci si aspetterebbe più da un panettiere di generazione che da uno chef?
Il pane è fondamentalmente uno dei gesti più antichi dell’essere umano cuoco e questo è molto affascinante, è una cosa viva perché semplice che si fa con pochi elementi: acqua, farina, lievito e se vogliamo sale. Un prodotto così straordinariamente simbolico anche nelle varie culture e strutture sociali, basti pensare alla religione cristiano- cattolico diventa il corpo di Cristo. Il pane è per me uno stimolo nato per sbaglio ma che adesso rappresenta un rapporto carnale quasi viscerale. Il lievito madre di Mammaròssa va accudito e curato come un figlio ogni volta che si trova tra le nostre mani.
- Nel creare una pasta madre con cui ottenere un pane di qualità si richiedono particolari tecniche di lavorazione?
Sì, la cucina in generale e quindi anche la panificazione è il frutto di tecniche che si sono stratificate nel corso dei secoli quindi noi siamo il risultato di tutte le esperienze che gli uomini cuochi, panettieri ci hanno tramandato. Per questo la tecnica è importantissima ma soprattutto per il pane c’è bisogno di un ingrediente segreto che è l’amore. Un buon pane non può venire da una mano svogliata e un cuore arido.
- Quale è la nuova idea di territorio che si è voluta promuovere nei tre giorni di Saperi & Sapori e lei cosa ha valorizzato attraverso il suo pane?
Con il mio pane ho promosso la verità generata dal più facile degli ingredienti, la farina di grano. Semplice ma che può rivelarsi accompagnamento, protagonista e simbologia. Noi abbiamo voluto raccontare il nostro Abruzzo, il nostro pane e questo grano di montagna che soffre e vive in condizioni atmosferiche diverse da quello delle praterie pugliesi, dove ha vita più facile grazie a un clima più mite. Invece i grani che si sono sviluppati in montagna, sono grani più antichi che derivano dal processo di selezione naturale dove vale la legge del più forte: solo chi resiste resta in piedi.
- Chi tra gli chef è rimasto più sorpreso di una delle eccellenze di Mammaròssa?
In tanti hanno chiesto di avere il pane di Mammaròssa e i più sorpresi siamo stati noi nel vedere questi grandi chef parlare del nostro prodotto.
- C’è stato uno chef in particolare che ha colpito lei e quindi l’ideologia che sposa ogni volta che crea piatti qui a Mammaròssa?
Sì, mi hanno colpito tantissimo Salvatore Tassa ma soprattutto una chef donna che ho trovato veramente pulita e vera Fabrizia Meroi del ristorante Laite a Sappada. Fabrizia ha realizzato un piatto semplice: ravioli fatti con l’impasto di patate degli gnocchi lavorato come se fosse una sfoglia. Ma ricordo con entusiasmo anche la simpatia e la professionalità di molti altri.
- Il padre della manifestazione Igles Corelli, un pentastellato, lo chef d’Italia, ma prima ancora che chef è per lei un grande amico. È stato ospite a Mammaròssa ha seguito anche le avventure di quello che è la sua cucina. Cosa ammira di Igles Corelli come persona?
Di Igles ammiro la sua grande voglia di comunicare come maestro. A volte le persone in ambiti così, dove si vive anche di segreti tecnici, tendono a non rivelare i propri metodi. Invece Igles è sempre stato una persona che ha voluto scambiare soprattutto con i nuovi giovani chef. La cosa più bella che ha Igles a parte la sua solarità romagnola e il suo sorriso coinvolgente è la voglia di raccontare, raccontarsi e insegnare.
- Una domanda un po’ più ispida: all’interno delle cucine di Villa Rospigliosi c’è stato un momento negativo che avrebbe voluto non vivere?
Sì, quando è finito tutto. Saremmo rimasti lì ancora altri giorni a condividere quell’ atmosfera. È stata veramente una festa, una festa del gusto, una festa dell’amicizia, una festa della cucina.
- Ha mai pensato a una versione di Saperi & Sapori da ospitare qui a Mammaròssa nella Marsica?
Sì, ma non solo. Anche prima di Mammaròssa per anni abbiamo organizzato una manifestazione che si chiamava “Sentieri del gusto” che doveva raccontare questo territorio ed essere un ponte comunicativo tra i prodotti e la gente attraverso il sapere dei cuochi. Il discorso è ancora aperto e non è detto che prosegua anche qui.
@baldaroberta