Non c’è fine all’indignazione di fronte al ritrovamento di animali selvatici che con molta probabilità sono stati avvelenati da veri e propri criminali. Il 5 maggio il personale di Rewilding Apennines, di Salviamo l’Orso e i volontari durante un’attività di monitoraggio dell’area corridoio tra il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e il Parco Naturale Regionale Sirente Velino hanno rinvenuto 2 lupi e 4 grifoni morti nel territorio di Cocullo, al confine con Goriano Sicoli, ma il numero potrebbe essere più alto.
Trovandosi le carcasse nel raggio di 300 metri, si ha il forte sospetto che si tratti di un episodio di avvelenamento, uno dei tanti che in Appennino centrale si riscontrano nel periodo precedente la monticazione (la conduzione del bestiame ai pascoli di alta quota), oltre a quelli legati alla concorrenza tra i raccoglitori di tartufi e alle attività di caccia.
In seguito alla segnalazione, sono intervenuti sul posto i Carabinieri Forestali del Comando Stazione di Roccaraso e il veterinario della ASL 1 L’Aquila-Sulmona-Avezzano. Quest’ultimo ha dato l’autorizzazione alla rimozione delle carcasse per evitare che altri animali morissero alimentandosene.
Nei giorni successivi sono intervenuti i nuclei cinofili antiveleno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise per controllare l’area, verificare l’eventuale presenza di altri animali morti e renderla sicura. Purtroppo il nucleo cinofilo di Pescasseroli ha rinvenuto un’altra carcassa di lupo.
Appena due settimane fa il team di Rewilding Apennines aveva recuperato due grifoni ad Atina, in collaborazione con i Carabinieri Forestali di Atina e la ASL di Frosinone – Distretto di Sora, rinvenuti morti non lontani dalla carcassa di un puledro su cui si erano probabilmente alimentati. Ancora, due anni fa, sempre in primavera, Rewilding Apennines denunciava un altro grave episodio di avvelenamento, sempre nel territorio tra Cocullo e Goriano Sicoli.
Il team leader Mario Cipollone, che ha partecipato alle operazioni di ritrovamento e recupero delle carcasse, ha dichiarato: “Amareggia constatare che nel 2023 la cultura del veleno sia ancora così diffusa, evidenziando la più totale insensibilità verso la vita da parte di chi ricorre a certe pratiche vigliacche. Durante il penoso ritrovamento e recupero delle carcasse non è potuta mancare una profonda sensazione di vergogna per questi gesti crudeli e inutili che non favoriscono la possibile convivenza con la fauna, ma invece nuocciono all’ambiente in cui gli stessi autori svolgono le loro attività. Queste persone non comprendono che, così facendo, danneggiano loro stessi e l’immagine delle comunità a cui appartengono, allontanando quanti apprezzano i valori naturalistici dei luoghi di cui dovrebbero essere davvero i custodi.”
In attesa di avere il riscontro definitivo sulla causa della morte a seguito delle analisi necroscopiche e tossicologiche, in capo all’Istituto Zooprofilattico di Abruzzo e Molise, è importante sottolineare il ruolo fondamentale che hanno i grifoni nel rivelare eventi di avvelenamento. Infatti, questi necrofagi obbligati sono delle vere e proprie sentinelle del territorio e il monitoraggio dei grifoni dotati di trasmettitore GPS condotto da Rewilding Apennines e dai Carabinieri Biodiversità di Castel di Sangro può anche consentire il ritrovamento di eventuali situazioni pericolose, quindi di attivare tutto il protocollo per arrestare la catena di morte della fauna e bonificare l’area.
“Purtroppo se questi atti restano impuniti si rischia di favorire la reiterazione del reato”, afferma Cipollone. “Consapevoli della complessità di condurre indagini di polizia su questo crimine, ci appelliamo a tutte le autorità competenti affinché a livello istituzionale e procedurale sia data maggiore attenzione e priorità a questa piaga del nostro territorio. Sarebbe un bel segnale se sulle aree soggette a episodi di avvelenamento si vietasse qualunque attività produttiva per lungo periodo, come accade in caso di incendi.”
Il 5 maggio vicino alla carcassa di un grifone è stato rinvenuto anche un escremento di orso, sicuramente più vecchio rispetto alla morte dell’animale, ma che basta a ricordarci come anche la vita degli orsi marsicani che frequentano quel corridoio ecologico, fondamentale per lo spostamento e l’espansione della piccola popolazione di plantigradi, sia messa in serio pericolo da episodi di avvelenamento.
Per i giovani volontari che hanno partecipato alle operazioni di ricerca e rimozione delle carcasse è stata un’esperienza davvero dura dal punto di vista emotivo. Lola Ratouis, di Chamonix Mont-Blanc in Francia, ha dichiarato: “Quando sono venuta a fare volontariato per Salviamo l’Orso e Rewilding Apennines, sapevo che avrei dovuto affrontare situazioni difficili come la morte di animali selvatici che ammiro e rispetto. Tuttavia non mi aspettavo di affrontarla così… Sei buste di plastica che rappresentano la perdita di sei vite essenziali per l’ecosistema abruzzese. Sono passati due giorni ormai, e ancora non so cosa mi abbia reso più triste, la vista di quei due lupi e quattro avvoltoi morti uno accanto all’altro, o lo sguardo triste negli occhi della gente che lotta per la conservazione della fauna selvatica ogni singolo giorno, con o contro il vento.”
L’auspicio è che le comunità locali appenniniche possano farsi promotrici della cultura della coesistenza uomo-fauna e non della cultura del veleno, perché mentre la prima porta benefici diffusi dal punto di vista ecologico, sociale, economico e del benessere, la seconda trascina con se solo svantaggi e disastri a livello ambientale, di promozione e accoglienza per il territorio e di prospettive di sviluppo per il futuro.