Pescasseroli. In un Teatro Verdi sold out, il Conservatorio “G.Martucci” di Salerno ha dato lo start con una serata sorprendente alla Settimana della musica con la sua orchestra diretta dall’eclettica bacchetta di Jacopo Sipari di Pescasseroli. Perfetto il giovane Konzertmeister Tommaso Troisi
Concerto fiume quello organizzato dal direttore del Conservatorio “G.Martucci” Fulvio Artiano, con l’avallo del C.d.A, al teatro Verdi di Salerno, per dar l’abbrivio in grande stile alla Settimana della Musica, divenuta, attesa celebrazione, ormai, da quattro anni, ideata dall’indimenticato Fulvio Maffia e dal Presidente del tempo Aniello Cerrato, con “musicalizzazione”, attraverso, diversi spettacoli, in contemporanea, dell’intera Salerno, nonché fuochi pirotecnici a illuminare e “Far rumore”, per dirla con Diodato, con suoni e colori, il golfo cittadino. Fusione di generi, al Verdi, con un concerto che è sembrato voler sottolineare l’era del musicista totale. Teatro, tempo, totalità, ove il termine “tempo” vuole indicare l’attualità di quella presa di distanza dalla concezione elitaria di quest’arte e “totalità” sta per rifiuto di considerare la musica un Olimpo chiuso e circondato da paratie, che limitano un campo dall’altro, per rivendicare, invece, un’idea unitaria del comporre e interpretare, ponendo a confronto stili e linguaggi diversi, capaci di produrre suoni e sensi, inauditi per un pubblico eterogeneo. Ecco, allora, che Fulvio Artiano, di conserva con la bacchetta del Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, che possiede un’impugnatura cosmopolita, ma la punta tesa inconfutabilmente verso il Conservatorio, il Teatro e la città di Salerno, ha invitato Amii Stewart e il violinista Alessandro Quarta, con il super quartetto, composto da Cristian Martina alla batteria, Michele Colaci al contrabbasso, Franco Chirivì alla chitarra e Giuseppe Magagnino al pianoforte, a far musica con l’orchestra sinfonica del Martucci e il suo direttore che da anni collabora con questi due straordinari musicisti. Tanti i problemi superati alla vigilia di questa produzione, dal mediocre service ingaggiato, al gran caldo in teatro, alla mancanza di un consapevole direttore di produzione sul campo, al quale hanno dovuto sopperire lo stesso direttore musicale (mai tal ordine in palcoscenico) insieme al segretario artistico del massimo cittadino Antonio Marzullo. La tradizione vuole, però, che, se alla prova generale ci sono intoppi, la performance fila liscia e così è stato.
Si vivono tempi di guerra, che purtroppo, sentiamo lontana, ma in guerra è l’Uomo, la sua storia, il suo essere ad essere negato. Due i brani in programma elevati quali preghiera, il primo, “Nearer my God to Thee”, un inno cristiano e “God bless the Child”, che ha inaugurato il portrait di Billie Holiday, gemme dell’intera serata, per quel profondo significato musicale che serbano e donano. Se “Nearer my God to thee”, ha coinvolto anche fisicamente, per quella energia che unisce gioia e tristezza allo stesso tempo, amore e odio, fede e disperazione di quanti hanno avuto la forza di trovare nella musica e nella condivisione del canto una via di fuga, seppur solo emotiva, e la responsabilità etica della Stewart nei confronti della pagina di restituire quell’emozione, quel sentimento di speranza, amore e sinergia che viene da lontano, God Bless the Child, già dall’incedere sul palco di Amii a passi lenti, il suo cantare, cercando quei magistrali retards, lo schivare la lettera della melodia, l’affrancamento da ogni rigida e simmetrica scansione, e il tentativo d’ideare dal nulla piccole immagini corrusche e geniali e, ancor più, quel contrasto tra il chiaro e il metallico, i colori cangianti e sfumati all’interno della tessitura, con le frequenti frastagliature, tra gioia e abbandono, ci ha ridonato le atmosfere che erano di Lady Day. Nell’altra celebre song invece, Fine and Mellow, Amii si è decisamente allontanata dallo stile di Billie, “giocando” con il violino di Alessandro Quarta su quelle fatidiche dodici battute di blues, nate da un infinito duel tra il suo amato Lester Young e il suo eterno antagonista, Coleman Hawkins “The Hawk”, rappresentanti l’emozione e l’espressione dell’emozione stessa, che l’esegesi e intere generazioni di ascoltatori hanno voluto quale simboli della cultura afro-americana e di un clima che invita ad esorcizzare la passione con la musica e a trovare in essa la catarsi della vita.
Un concerto in anabasi quello delle due star, che hanno “rischiato” da Maestri quali sono, con un’orchestra di giovani, alle prime esperienze con questo genere e, in particolare, col tango e con composizioni originali di Alessandro Quarta, il quale ha attaccato il concerto proprio con Oblivion, passando, poi, per Jeanne y Paul, quindi, un infuocato Libertango, in cui in prova ha torchiato ben bene gli archi, già ben preparati dal M° Raffaele D’Andria, per offrire in Piazzolla quel segreto svelato nella introduzione, in cui il pubblico rimane incantato, proprio nel suo non offrirgli troppo facili, e in fondo rassicuranti, appigli transtilistici, ma calandolo in un ideale momento di sintesi, tra i molteplici rimandi che il musicista intende riecheggiare nel suo stile. Propensione trasparente per un eloquio diretto e super virtuoso per Quarta, in cui la perizia strumentale è prevalsa sullo scavo concettuale e sulla transidiomicità del repertorio tematico, la forza propulsiva del sentire argentino, quella ripetizione ossessiva in progressione, da eseguire tassativamente tutti insieme, di alcuni temi, quasi a voler significare che il normale spettatore deve ascoltare più volte quella particolare espressione musicale prima di poterla gustare, simbolo di quel popolo che si era messo, finalmente, in moto, unito, in viaggio, con la sua musica, il suo simbolo, il mito del tango che allora nasceva. Elogi al konzertmeister scelto per questo concerto, Tommaso Troisi, per il quale prevediamo un futuro importante nel ruolo, generoso, quanto il Maestro Jacopo Sipari, nel seguire il violino diabolico di Alessandro Quarta, in tutte le sue espressioni, dalla pizzica tarantata Tarantula, omaggio alla sua terra, al Nino Rota felliniano di Amarcord, la Dolce vita, fino al girotondo di Otto e mezzo, tutto sempre con l’acceleratore a tavoletta e ridanciano, a cominciare dal tema del fisarmonicista cieco presente al matrimonio della Gradisca, con tanto di fischio col violino, ripetuto alla bella sposa, che elude così il lato drammatico, melanconico, che possiede questo compositore, in particolare quando incontra il sentire di Federico Fellini. Il flauto di Andrea Ronca, l’oboe di Giuseppe Feraru e il clarinetto di Manuel Magurno hanno introdotto l’ “aria di sortita” di Amii Stewart Saharian Dream, felicissimi impasti di tutti i legni creati dal Maestro Gaetano Falzarano, suoni dei loro maestri, Antonio Senatore e Antonio Rufo, che abbiamo riconosciuto, canto sospeso, filato, per la vocalist, come d’obbligo per Ennio Morricone, del quale è stato eseguito anche il love theme di Nuovo Cinema Paradiso, nonché l’immortale ostinato di “Metti una sera a cena”. Parte centrale del concerto Spain di Chick Corea, oltre le due torch song di Lady day e Jeanne y Paul con protagonista il quartetto d’appoggio, che si è trovato a suo agio nei diversi contesti, pur legati dallo stesso filo rosso, riuscendo a conservare intatte le caratteristiche di ogni partitura, adattandole con flessibilità e buon gusto alle esigenze della vocalist e del violino, in un elegante viaggio ideale su tasti, corde e tamburi, che non ha raffrenato, la libertà fantastica ed espressiva degli strumentisti, i quali si sono ritagliati spazi brillantissimi, in particolare il pianista Giuseppe Magagnino, rientrando, poi, ad ogni istante, a sostenere, sottolineare, suggerire, domandare, rispondere. Finale infuocato con il Maestro Sipari, che non si è risparmiato, nemmeno nella danza, per i successi di Amii Stewart Purple rain e Knock on wood, fino ad Etere, il quinto elemento, composizione di Alessandro Quarta, il quale ha anche firmato tutti gli arrangiamenti, per chiudere con un medley dedicato ad Aretha Franklin, in cui la Stewart ha espresso per intera la sua anima soul, a cominciare da A natural woman, passando per Dr.Feelgod, prima di chiudere con Respect. Orchestra e maestri scatenati, a far assaggiare anche qualche accenno di sparring two, e pubblico in piedi, chiamato a partecipare battendo le mani, a tempo (in levare), in quel semicerchio naturale che è il teatro, ove ogni barriera, divieto, maschera, sparisce, nel segno della Musica.