Avezzano. Traffico di gasolio senza pagamento dell’iva, cinque imprenditori abruzzesi assolti dall’accusa di ricettazione. Sotto accusa erano finiti Alberico Dario, Walter Di Berardino, Rossana Orlandi, Augusto Di Rocco e Lucia Stirpe, tutti marsicani. Per tutti loro la corte d’Appello dell’Aquila ha disposto l’assoluzione perché il fatto non sussiste. In primo grado, erano stati condannati alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione.
La Corte d’Appello dell’Aquila, presieduta dal giudice Alfonso Grimaldi, relatrice Raffaella Gammarota e a latere Mariangela Fuina, ha riformato la sentenza del tribunale di Avezzano, emessa a ottobre del 2017, e ha assolto gli imputati. Il giudice di Avezzano li aveva condannati anche al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili Trenitalia Spa, Poste italiane Spa ed Enel Spa.
I fatti risalgono al periodo tra il 2005 e per il primo anno è scattata la prescrizione. La vicenda nasce da una complessa operazione condotta dalla Guardia di finanza di Siena a seguito di una segnalazione ricevuta dal direttore dell’ufficio postale di Siena, che ha consentito di far emergere un presunto traffico di carburante illecito gestito dalla Petrol Pa. 88 Srl di Avezzano che all’epoca dei fatti avrebbe sottratto del carburante dai vari enti per rivenderlo a nero a svariate ditte locali.
L’accusa sosteneva che il gasolio sarebbe stato venduto in nero a terzi, identificati dagli investigatori mediante l’analisi di agende rinvenute tra i documenti extracontabili occultati, in cui erano annotate le forniture, l’importo e i beneficiari. Dalla documentazione rinvenuta, sempre secondo la tesi accusatoria, c’era la prova inconfutabile dei pagamenti in nero e che ciò corrispondeva con la contabilità “occultata” rinvenuta presso la sede della stessa.
La difesa, rappresentata dagli avvocati Romina Cicerone, Giuseppe Viggiani, Sonia Fracassi, Cristian Carpineta e Roberto Verdecchia, ha sostenuto che c’erano le prove concrete e tangibili degli acquisti effettuati in perfetta buona fede a un prezzo più che congruo sul mercato, con il relativo pagamento delle forme e modi consoni. La Corte di Appello ha accolto tale tesi e ha assolto tutti gli imputati perché il fatto non sussiste.