L’Aquila. Ritorna la Traviata di Giuseppe Verdi, sul palcoscenico del Teatro dell’Opera di Stato di Varna, con Violetta, che avrà la voce del soprano Aleksandrina Mihaylova, sabato 25 ottobre, alle ore 19.
“ La Traviata mi rivelò il suo carattere periferico e stradale” scriveva l’immaginosa penna di Alberto Savinio per omaggiare la bellezza e la popolarità delle melodie di questo titolo. Daniela Dimova, dopo il grande successo di critica e pubblico al Summer Festival, ha posto a fianco della Mihaylova, Valery Georgiev, nel ruolo di Alfredo e Ivo Yordanov, in quello di Giorgio Germont, mentre a completare il quartetto di voci vi sarà Rozalia Zhelyazkova, che darà corpo a Flora Bervoix, mentre gli altri personaggi vedranno Galina Velikova nel ruolo di Annina, Artyom Arutyunov in quello di Gastone, e ancora, Martin Kirov sarà il Barone Douphol, Lev Karavan il Marchese D’Obigny, Petar Petrov il Dottor Grenvil e Plamen Mihaylov, Giuseppe.
L’orchestra dell’Opera di Varna, unitamente al coro, sarà agli ordini del suo direttore ospite principale, il Maestro abruzzese Jacopo Sipari di Pescasseroli, mentre la regia sarà firmata da Srebrina Sokolova. “Sono felice – ha dichiarato il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli – di tornare a dirigere Traviata qui a Varna, dopo averla eseguita quale ospite del cartellone estivo, con la Mihaylova, straordinaria interprete del ruolo. Torno in una Varna che si appresta ad entrare nella Comunità Europea, e insieme alla vulcanica amica Daniela Dimova, abbiamo in animo di realizzare un progetto importante sia per l’orchestra che per il teatro, che si sta affermando sempre più in Europa e nel mondo.
Ma è la Bulgaria tutta che è in anabasi, basta vedere i grandi nomi che frequentano Sofia, Varna, penso al Maestro Daniel Oren, ad esempio, che ha intessuto legami con questa splendida nazione in trasformazione. E’ l’ultima volta che la vedo così, la prossima troverò l’euro che certamente avrà forte influenza su tutto, dall’economia alla cultura e Traviata è titolo che ben sposa questa fase.
Pur riconoscendomi dichiaratamente un direttore pucciniano, guarda le partiture con la lente del sacro, Traviata titolo nell’apparenza antiborghese, è documento insigne della laica religiosità verdiana, si direbbe meglio del suo scorbutico cattolicesimo, incentrata su di una relazione tanto bruciante come quella tra Violetta e Alfredo, l’opera più vistosamente sentimentale di Verdi, in cui il compositore esclude con tenacia ogni tentazione della carne.
I duetti fra gli amanti, scanditi dal tempo ternario, negli atti primo e terzo, evocano tenerissima effusione o mesta elegia, ma un vero duetto d’amore come ardore dei sensi, quest’uomo ritroso sino alla simulazione che fu Verdi, non saprà scriverlo prima del secondo atto del Ballo in Maschera, quindi in Don Carlos e Aida. Nessun appello alla fisicità nella etéra parigina, solo una sorta di eroica idealizzazione (“Amar non so, né soffro un così eroico amor…”); dalla prurigine del demi-monde, Violetta, tramite Giorgio Germont trascorre alla rinuncia, senza mai passare per l’Eros, anzi esorcizzandolo nella trama dolente della memoria e quasi sempre a tempo di valzer. Penso a Zeffirelli, alla Callas, e credo alla massima interprete attuale del ruolo, Ermonela Jaho, con la quale diverse volte abbiamo affrontato l’Addio del passato, che fanno rivivere la Violetta immersa “di voluttà nei vortici” mentre l’altra, la santa per amore, si purifica nella spoglia semplicità della casa di campagna, fino ad apparire, quasi estatica, nel finale del secondo atto, dopo il violento insulto di Alfredo”.
I fiori attraversano la vicenda di Violetta dallo sbocciare nella sua smagliante bellezza alle “rose” del volto già pallenti di Addio del passato. La Traviata è il Verdi “moderno”, per l’attualità del soggetto e della psicologia, questa la ragione di questa scelta da parte della sovrintendente Daniela Dimova, in questo momento di trasformazione, di attesa, di speranza, di profumo di cambiamento per la sua nazione.
L’amore attraversa fremente la disuguaglianza dei ranghi sociali (non è questione di ricchezza, ma di gap fra buona società e demimonde) pretende di associare stabilmente il giovane di buona famiglia e la cortigiana, che dovrebbero avere per unico legame legittimo il piacere mercenario e temporaneo. Lo scoppio della passione compromette l’accasamento delle vergini (Germont si preoccupa di sistemare la sorellina di Alfredo e intona soave “Pura siccome un angelo”) e turba la pubblica opinione. Germont rappresenta la figura e la Legge del Padre nei confronti di una Violetta chiaramente dedita al libertinaggio per mancanza di una sana educazione paterna.
Il sacrificio della passione e il saper tenere la bocca chiusa – secondo le buone tradizioni borghesi – è il contributo dell’onesta puttana all’equilibrio sociale. L’innamorato Alfredo, finge di non capire, rinfaccia alla donna che l’ha abbandonato i soldi spesi per lui, eccedendo in villania per gli stessi canoni mondani. Sul prezzo che paga si inteneriscono i carnefici, Alfredo stesso e l’odioso genitore. L’inizio dell’ultimo atto, contribuisce decisamente allo sfaldamento della struttura tradizionale a numeri chiusi, dissolti in un tessuto continuo di recitativi, slanci lirici e ricadute nel pianissimo, in piena corrispondenza alla tempesta sentimentale che investe l’affranta Violetta e alla sua illusione, proprio in punto di morte, di un ritorno delle forze vitali, nel modus scientifico dell’attacco finale di tisi. Non può stupire che questa fragile, fortissima, creatura, muoia, ce lo ricorda Massimo Mila, a suon di ottoni.








