Tagliacozzo. Al via gli interrogatori nel processo per il riutilizzo di fondi del tesoro di Ciancimino nella Marsica. Nel processo a carico dei titolari di Alba d’Oro ieri è stato ascoltato un teste della guardia di finanza e c’è stato il contro esame dell’accusa. L’inchiesta Alba d’oro vede accusati l’ex assessore di Tagliacozzo e imprenditore Nino Zangari, e i fratelli Augusto e Achille Ricci, che secondo la rpocura avrebbero utilizzato parte del tesoro del boss corleonese Vito Ciancimino per la realizzazione del complesso turistico “La Contea”. La Corte d’appello dell’Aquila, dove era iniziato il processo, era infatti stata sollevata con il trasferimento ad Avezzano per incompetenza territoriale. L’indagine era infatti partita dalla Procura di Avezzano e i sequestri sono avvenuti nella Marisca. Ieri pomeriggio si è tenuta l’udienza davanti al collegio giudicante presieduto da Francesco Lupia. E’ stato ascoltato un teste del pubblico ministero, Stefano Gallo, sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia dell’Aquila. Secondo l’accusa, sulla società Sirco spa e sul complesso turistico “La Contea” di Tagliacozzo, appartenente alla società Alba d’Oro srl, era confluito denaro di provenienza illecita e, in particolare, fondi provenienti dal famoso tesoro di Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo. Zangari al 2007 deteneva il 16,5% del capitale sociale della società Alba d’Oro, Augusto Ricci deteneva il 17% del capitale della stessa società, mentre il fratello il 16,5%, quindi in totale la metà dell’intero capitale. Il Tribunale dell’Aquila aveva disposto la confisca delle quote della società Alba d’Oro e della società Marsica Plastica srl. I giudici avevano rigettato la proposta di misura di prevenzione patrimoniale. Poi la Corte aveva revocato tutti i provvedimenti di confisca. Nel progetto edilizio della struttura di Tagliacozzo sarebbero stati investiti, sempre secondo l’accusa, un milione 610mila euro tramite la holding Sirco, una società siciliana che, sempre secondo le accuse, era controllata da Ciancimino tramite Gianni Lapis, amministratore del patrimonio della famiglia dell’ex sindaco colluso con la mafia. I beni riciclati, secondo la procura antimafia, finirono anche in Abruzzo, nella Marsica, nei settore di gas e turismo. I soldi erano legati agli appalti della società Gas, secondo i pm di Palermo Nino Di Matteo, Sergio Demontis, Paolo Guido e l’ex procuratore aggiunto Antonio Ingroia, e sarebbero serviti per pagare politici di tutti gli schieramenti. Il prestanome delle quote dell’ex sindaco era, sempre secondo l’inchiesta, proprio Lapis. I tre imprenditori di Tagliacozzo, difesi dagli avvocati Pasquale Milo, Andrea Castaldo di Napoli e Daniele Libreri di Palermo, continuano a respingere tutte le accuse sostenendo di aver lavorato a un progetto imprenditoriale senza conoscere la provenienza dei fondi altrui. I beni riciclati, sempre secondo la procura antimafia, finirono anche in Abruzzo, nella Marsica, nei settore gas e turismo. I soldi erano legati agli appalti della società Gas, secondo i pm di Palermo Nino Di Matteo, Sergio Demontis, Paolo Guido e all’ex procuratore aggiunto Antonio Ingroia, sarebbero serviti per pagare politici di tutti gli schieramenti. Provenzano e Ciancimino secondo i pm erano arrivati a Tagliacozzo attraverso una società palermitana che gestiva la rete del gas. I 120 milioni della vendita della società sarebbero poi stati reinvestiti in Romania, Belgrado e forse anche nell'”Alba d’oro srl”, la società impegnata nella realizzazione della struttura ricettiva in una zona periferica del Comune. Ipotesi quest’ultima respinta dagli accusati.