Tagliacozzo. Usavano skype per non essere intercettati e, per un eccesso di prudenza, parlavano attraverso frasi criptiche degli affari milionari che gestivano.
SKIPE. Cautele che non hanno salvato il tributarista Gianni Lapis e i suoi presunti complici, tra cui l’ex assessore comunale di Tagliacozzo, Nino Zangari, finiti in cella nel corso di un’operazione della polizia valutaria della Guardia di Finanza. Assieme all’avvocato ritenuto prestanome dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino e per questo condannato a due anni e otto mesi, sono state arrestate altre cinque persone con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, esercizio abusivo della professione di intermediazione finanziaria e violazione delle norme sulla tracciabilità delle operazioni finanziarie.
IL FILONE. Un’inchiesta nata seguendo un altro filone investigativo, su cui gli inquirenti mantengono il riserbo, che ha portato alla scoperta di una maxi operazione di riciclaggio di denaro sporco – forse provento anche di tangenti a politici, sospettano i pm – realizzata attraverso un cambio di valuta.
IL BOTTINO. I soldi sporchi – 60 milioni di dollari americani e un quantitativo non accertato di franchi svizzeri – sarebbero stati depositati in una cassetta di sicurezza di una banca romana non ancora identificata e apparterrebbero a un personaggio misterioso – Mario lo chiamano Lapis e gli altri – ancora ricercato. Il tributarista e i suoi uomini sarebbero stati i “tecnici”, cos li definisce il gip, incaricati di riciclare il denaro cercando un cliente che fosse interessato a scambiarlo in euro. Chiaramente la necessità di “disfarsi” in fretta dei soldi sporchi aveva un costo: un tasso di cambio che nessuna banca avrebbe potuto fare e che avrebbe comportato al “cliente” uno sconto del 15%. Naturalmente Lapis e gli altri avrebbero guadagnato sulla transazione una cospicua percentuale.
L’INFILTRATO. Tutto organizzato nel dettaglio, se non fosse che l’interlocutore della banda, tenuta sotto controllo della Valutaria che aveva scoperto l’operazione illecita, era un infiltrato della Finanza che per settimane, sotto copertura, ha incontrato Amormino e gli altri per negoziare tutti i punti dell’accordo. Solitamente quella dell’agente provocatore è una figura impiegata nelle indagini sui traffici di droga: stavolta la Procura di Palermo, coordinata dall’aggiunto Antonio Ingroia, ha dato il via libera al suo uso in un’inchiesta di riciclaggio.
GLI APPUNTAMENTI. Gli incontri, alcuni dei quali avvenuti a ottobre a Roma, tra il falso cliente e l’organizzazione erano tenuti sotto osservazione dalla Finanza, ma il passaggio di denaro non è avvenuto. Il timore che qualcosa andasse storto e l’organizzazione scoprisse l’indagine e si dileguasse ha spinto la procura a dare il via agli arresti che erano stati disposti già a novembre, ma che non era stanti ancora eseguiti proprio perchè gli investigatori avrebbero voluto mettere mano sul denaro. Restano, comunque, molti i punti oscuri della vicenda: oltre all’identità di Mario e al ruolo di altri soggetti indagati, la provenienza di tanto denaro contante e un traffico di oro, venuto fuori dalle intercettazioni.
LA MINIERA D’ORO. La finanza ha scoperto che Lapis, attraverso i suoi uomini, aveva contattato il proprietario di una miniera di oro delle Filippine e che aveva intenzione di acquistarlo, trasformarlo in lingotti a Vicenza e organizzare un’attività di compravendita estero su estero. “Tali emergenze investigative – scrive il gip – dimostrano l’esistenza della struttura associativa stabile, contraddistinta da una congerie di scopi, tutti univocamente diretti alla realizzazione di operazioni finanziarie volte a celare la provenienza delittuosa dei capitali immessi nel circuito bancario”.