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Storie di Successo #22 – Sorelle Nurzia: il torrone aquilano amato in tutto il mondo

Redazione Abruzzo di Redazione Abruzzo
23 Ottobre 2020
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La storia di successo di oggi riguarda un’azienda che ogni abruzzese conosce da sempre. Il torrone delle Sorelle Nurzia è uno di queli dolci che ti accompagnano lungo il percorso della vita: lo vedi consumare con gioia a tavola da nonni e nipoti, tutti insieme a ridere e godere di un prodotto che è diventato un simbolo di abruzzesità nel tempo. La storia (con tanti “colpi di scena” nel corso degli anni) di questa fabbrica di torroni dell’Aquila è stata raccontata tante volte e ne daremo qui solo un breve cenno. Vogliamo invece parlarvi di un aspetto che invece è assai meno noto – quello dell’approccio ancora squisitamente artigianale – emerso con trasparenza durante la nostra visita allo stabilimento di Bazzano. Ma tempo al tempo.

La storia in sintesi

Tuto ha inizio verso la metà dell’Ottocento quando Gennaro Nurzia, originario di Arischia, paesino ai piedi del Gran Sasso, apre una bottega nella quale elabora liquori. La china di sua produzione è tra gli alcolici più apprezzati e venduti dell’epoca. Gennaro è intraprendente e trasmette questa sua passione al figlio, Francesco Saverio, che presto si “allarga” verso il settore dolciario. Fu lui ad aprire, nel cuore cittadino di Piazza Duomo, l’Antica pasticceria Nurzia, ispirandosi agli eleganti caffè parigini. La svolta si ebbe però con Ulisse, uno dei cinque figli di Francesco Saverio, che ebbe l’intuizione del torrone tenero a frattura netta.

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Fino ad allora tutti i torroni erano sempre stati duri, e causavano problemi di masticazione. Ulisse, dopo lunghe sperimentazioni, arrivò a perfezionare la ricetta di un torrone morbido ma non elastico, che cioè si spezzava facilmente in tocchi pronti da consumare. Nacque il torrone tenero aquilano e fu una rivoluzione!

La scissione

Negli anni Quaranta Ulisse, intenzionato a ritirarsi dagli affari, decise di lasciare la sua attività nelle mani dei figli Tito, Ada e Ines. Preoccupato per le esuberanze giovanili del figlio maschio, lasciò in eredità ai nipoti nascituri, Ulisse junior e Giovanni, figli di Tito, il negozio in Piazza Duomo, il laboratorio e la casa di famiglia in centro storico; alle femmine Ada e Ines invece donò i suoi brevetti e la possibilità di utilizzare il marchio Nurzia.

Fu allora che presero avvio due diverse produzioni di torrone: quella dei Fratelli Nurzia, continuata da Tito e oggi da Natalia e Francesco, e quella delle Sorelle Nurzia, dapprima con Ada e Ines, poi, dagli anni Sessanta ad oggi, sotto la direzione della famiglia Farroni, importanti grossisti alimentari.

“Sgarbi” reciproci e azioni concorrenziali andarono avanti per anni, fino alla situazione attuale, di tranquilla convivenza imprenditoriale, ora che entrambe le ditte hanno visto riconosciuto il diritto di produrre il torrone utilizzando il nome Nurzia e personalizzando la confezione.

Quando grandi numeri fanno ancora rima con artigianalità

E’ indubbio che negli anni il brand Sorelle Nurzia sia quello che si è diffuso maggiormente, grazie alle capacità commerciali dei Farroni. Questi innanzi tutto hanno allargato la produzione, inserendo i torroncini, gli aromatizzati (di cui escono in continuazione nuove versioni) e tutta una serie di prodotti di pasticceria, da biscotti a dolci lievitati, in modo da destagionalizzare il lavoro. Hanno poi inserito il prodotto sui canali della grande distribuzione, facendo fare all’azienda un salto di dimensioni decisivo.

Oggi il marchio Sorelle Nurzia è presente in tutta Italia, soprattutto nelle regioni del Centro e del Sud, con l’Abruzzo in testa ovviamente. Ma viaggia anche in una dozzina di paesi in tutto il mondo (va all’estero circa un 15% della produzione), Canada e Stati Uniti in primis, dove è logicamente più alta la concentrazione di immigrati (e dove non è facile esportare, se non si posseggono certificazioni di qualità rigorose).

«Il torrone è lo stesso di sempre, la ricetta è quella di Ulisse», ci racconta Carlo Farroni, durante la visita nella sede di Bazzano, dove abbiamo assistito a tutte le fasi della produzione. «Noi non abbiamo toccato quasi niente. Molti macchinari sono ancora quelli dell’epoca e la stragrande maggioranza del processo di lavorazione avviene tutto a mano. Il miele – che deve essere poco profumato e chiaro, per non impattare troppo sull’odore e sul sapore del prodotto finale – viene disidradato, unito ad albume d’uovo montato, a formare la base del torrone, e poi addizionato con caramello, nocciole e altri ingredienti, fino ad ottenere la pasta finale. Questa, ancora calda, viene distesa su delle teglie con uno strato d’ostia sotto, in modo da non attaccarsi, e viene poi spianata a mano dalle nostre signore. Alla fine, uno strato d’ostia sopra e si mette a raffreddare».

Di tecnologia ne abbiamo vista ben poca. Una macchina che taglia il torrone ormai freddo, dandogli le forme delle varie tipologie. Un’altra che avvolge il prodotto finale e lo inscatola. Poi basta. Tutto il resto si svolge rigorosamente a mano, come 70 anni fa. Tra amministrazione e produzione sono circa 30 i dipendenti, quasi tutte donne, anche questo come da tradizione.

Oggi dallo stabilmento di Bazzano escono circa 1.500 quintali di torrone morbido all’anno. Un marchio che, come ci dice Carlo con una battuta, «è più forte del fatturato».

«Io spero che qualità delle materie prime e maestria artigiana ci facciano andare avanti con successo», conclude, «e che questo torrone continui ad essere un degno ambasciatore del nostro bellissimo territorio». Per il prossimo Natale, sapete allora cosa acquistare!

Tags: storiedisuccesso
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