È al via una calda estate per le elezioni amministrative di 72 su 305 comuni abruzzesi, 29 nella Provincia dell’Aquila tra cui Sulmona e Tagliacozzo i più importanti. Si verifica sempre più spesso che nelle trattative per la formazione delle liste si inneschino dinamiche talmente accese che la stessa successiva campagna elettorale vera e propria, quella tra le varie liste contrapposte, può talvolta risultare relativamente rilassante. Quest’anno questa fase cruciale della politica locale si avrà per la prima volta nei mesi estivi, in cui molti possono godere di più tempo libero, e in concomitanza con le riaperture dopo il lungo periodo di restrizioni dovute all’emergenza sanitaria. Il bisogno di socialità può sprigionarsi nei locali all’aperto e nei ristoranti, che già normalmente con le cene “elettorali” delle passate tornate potevano godere di lauti guadagni anche fuori stagione. Tutto ciò lascia presagire un intenso periodo di approcci e contatti, in un turbinio di frequentazioni.
Ora, prima di entrare nello specifico della situazione di alcune realtà locali, ritengo opportuno fare alcune considerazioni generali sul modo in cui è cambiata negli anni e come si presenta oggi la politica italiana. C’erano una volta i partiti e la filiera che legava il particolare al globale, il locale al nazionale era ben delineata. I rappresentanti locali partecipavano, portando voti e preferenze, alle elezioni di contesti via via più grandi. Si partiva dal Consiglio comunale, sovrano nella scelta del Sindaco prima che ci fosse l’investitura popolare con l’elezione diretta e prima che varie riforme lo svuotassero di competenze a favore organismi più ristretti (Giunta e Sindaco con il suo entourage). Si passava ai rappresentanti provinciali, poi al referente regionale e quindi al nazionale: deputato o senatore a seconda delle contingenze, ministro nel migliore dei casi.
Stesso percorso ma all’inverso si percorreva nella creazione del consenso attraverso finanziamenti, contributi, opere pubbliche. Il referente, “padrino” o “ras” locale con aderenze al livello governativo, presso la Cassa del Mezzogiorno o un ente pubblico o un’impresa a partecipazione statale, faceva piovere dall’alto il suo intervento attraverso la Regione, la Provincia, a volte qualche corpo intermedio come la Comunità montana, fino al comune cittadino. Si formavano così i pacchetti di voti, che trovavano conferma nelle varie tornate elettorali attraverso diversi meccanismi.
Le “quartine” impartite nelle preferenze garantivano il controllo minuzioso fino all’ultimo elettore. Altro che segretezza del voto!
Gli attivisti partecipavano a questo complesso meccanismo attraverso l’appartenenza a un partito. Al di là di scelte più o meno etiche e da questioni che talvolta potevano persino assumere rilevanza penale, stare in questo gioco poteva portare benefici di varia natura. Dal semplice aggiramento della fila in ospedale alla prestazione medica, al posto di lavoro per sé o per un familiare, all’incarico professionale o direttamente a un contributo o l’affidamento di un lavoro pubblico, con e senza tangente. Il pessimo adagio che diceva “chi va alla mola rimane infarinato” teneva in qualche modo uniti i militanti dei partiti, disciplinati in attesa magari di possibili benefici futuri. Nella gran parte dei casi tutto avveniva in perfetta buona fede e nel rispeto della legalità.
Non che non ci fossero cambi di casacca (il trasformismo aveva trovato la sua teorizzazione nell’Italia di fine Ottocento, ma forse già Leopardi o addirittura Machiavelli e Guicciardini nel ‘500 avevano già detto tutto su certi “costumi” degli italiani) o comportamenti spregiudicati, ai limiti o oltre i limiti della liceità. Ma si trattava di casi, mentre il sistema complessivo poteva continuare ad essere inquadrato in una struttura definita, in cui ancora si poteva discernere tra una destra, una sinistra e un centro.
Col tempo ci sono state diverse riforme, la società è profondamente cambiata e soprattutto il sistema dei partiti è auto imploso sepolto dalla prima Tangentopoli e le successive, infinite ondate di scandali che gli hanno fatto perdere ogni residua credibilità. Per quanto mi riguarda nessun rimpianto, nessuna nostalgia. Già intorno a 35 anni fa mi era capitato di studiare per un esame universitario un testo dal titolo eloquente: “Società e partiti politici – il dibattito sulla crisi”. Né la mia profonda laicità mi ha mai permesso di irreggimentarmi in una formazione partitica. Va però detto che non siamo stati capaci di inventare alcunché che potesse efficacemente sostituire i partiti nel loro ruolo di cerniera tra la società, la politica e le istituzioni.
La conseguenza di tutto ciò, detto per ora solo per sommi capi, è una politica caratterizzata dall’estrema imprevedibilità, dalla volubilità delle appartenenze e degli schieramenti stessi, dall’accorciamento di ogni prospettiva con azioni amministrative di breve o brevissimo respiro, dallo sdoganamento di quella spregiudicatezza cui i grandi partiti popolari di massa in qualche modo tentavano di porre un argine. Qualcuno parlava di società liquida; direi che in molti casi siamo già passati allo stato aeriforme.