Avezzano. I fatti hanno inizio a seguito di una complessa attività finalizzata al contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti, disposta dalla Procura della Repubblica di Avezzano e dalla Procura della Repubblica Dda dell’Aquila eseguita tra il 2011 e il 2012 dal Reparto dei Carabinieri Forestale, all’epoca Corpo Forestale dello Stato. All’esito, venne disposto il sequestro di sostanza stupefacente, la chiusura temporanea di un locale commerciale e applicate misure cautelari personali.
In Luco dei Marsi, nella notte tra il 11 e 12 maggio 2012 (11 anni fa), in una strada secondaria con doppio senso alternato, in quanto non sufficientemente larga, durante lo svolgimento di questo servizio con abiti civili e auto non in livrea istituzionale, una pattuglia impegnata in un controllo di perquisizione a carico di alcuni soggetti, intimò l’alt ad un autoveicolo sospetto con a bordo due persone, le quali, poco prima, avevano acquistato stupefacente da un soggetto di nazionalità marocchina, anch’ esso sottoposto successivamente a misura e conseguente espulsione dal territorio nazionale.
Il conducente di tale veicolo, dapprima sembrava volesse fermarsi, invece, accelerando repentinamente, oppose resistenza agli operatori di polizia, non fermandosi e tentando di investirli. Solo la prontezza dei riflessi degli operanti evitò che gli stessi potessero riportare delle lesioni gravi. Uno degli agenti coinvolti, Fabio Cicchinelli, esplose un primo colpo di arma da fuoco con la propria pistola d’ordinanza in aria, a scopo di avvertimento, ed un successivo in direzione dello pneumatico posteriore sinistro.
Il conducente, arrestando la corsa, veniva tratto in arresto con applicazione della misura cautelare domiciliare fino al giorno della convalida, e sequestro dell’auto utilizzata. Secondo la difesa dei forestali, “nonostante l’auto fosse in sequestro, in luogo di giudiziale custodia, ignoti si introdussero all’interno della stessa effettuando foto dall’interno della stessa”. Le foto addirittura apparvero anche in un servizio di Pietro Guida sul quotidiano il Centro.
Dopo quel posto di blocco, per i sei uomini delle forze dell’ordine iniziò un vero incubo, con un procedimento penale a loro carico, avanzamento di grado bloccato, e una infamante accusa di tentato omicidio per uno di loro, di falso materiale e ideologico per tutti gli altri, nonché episodi di minacce con lettere anonime. Per tali fatti è stato aperto un procedimento contro ignoti poi archiviato. A distanza di 11 anni tutti sono stati scagionati, assolti con formula piena, soprattutto grazie a una super perizia balistica che ha dimostrato come i due colpi di pistola fossero stati esplosi uno in aria e uno sotto l’altezza d’uomo, agli pneumatici dell’auto.
Sotto indagine erano finiti Fabio Cicchinelli, accusato di tentato omicidio e falso per aver sparato, oltre a cinque colleghi dell’allora Corpo Forestale dello Stato, Stefano Caringi, Irina Stecconi, Fabio Paris, Lino Lovallo e Silvio Tarquini, accusati di falso materiale e ideologico. Gli altri agenti finirono sotto indagine per «aver formato atti parzialmente falsi diretti all’autorità giudiziaria, sottoscrivendoli come verbalizzanti». Ora è emerso che tutti avevano detto la verità e che Cicchinelli aveva agito in modo assolutamente regolare.
La sentenza di assoluzione è stata emessa dal collegio del tribunale di Avezzano composto da Daria Lombardi, Paolo Lepidi e Francesca Greco e la questione più importante ha riguardato, oltre alla traiettoria dei colpi che vennero sparati dalla pistola Beretta calibro 9 anche la perizia balistica. Infatti il consulente balistico, professor Paride Minervini, tra i più famosi in Italia, ha dimostrato che il foro trovato nella parte posteriore del veicolo, quello incriminato, “risulta alterato, con dimensioni non compatibili con il munizionamento sequestrato”. In sostanza, quel foro trovato dell’auto non era stato provocato da una pistola in dotazione ai forestali, ma da un’arma diversa. Soddisfazione è stata espressa dai legali che compongono il collegio difensivo, Antonio Milo, Gianfranco Restaino e Roberto Fasciani, mentre i militari dell’Arma che hanno “creduto fin dall’inizio nella giustizia” possono affermare che questa sentenza è stata la fine di un incubo.