Collarmele. Circa 90mila tonnellate di digestato liquido sparso su altri terreni. Digestato che veniva fatto passare come sottoprodotto dell’impianto e non come rifiuto. E poi circa 5mila metri cubi di liquidi maleodoranti che provenivano dall’irregolare deposito e stoccaggio del digestato.
È quanto hanno documentato i carabinieri forestali della stazione di Celano, agli ordini del comandante Francesco Angelini, che hanno ricevuto due anni fa, dalla procura di Avezzano, la delega a indagare su quanto stesse accadendo nello stabilimento in località La Forma a Collarmele, della Think Eco Agri Srl.
Si tratta di un impianto per la produzione di biogas. Un sito oggi posto sotto sequestro.
L’inchiesta nata dopo le segnalazioni dei cittadini, dei comitati che negli anni non hanno mai smesso di far sentire la loro voce agli amministratori locali, ha accertato un’attività di gestione di rifiuti non autorizzata. Pochi giorni fa è arrivato il sequestro dell’impianto ma l’operazione non è ancora conclusa e a breve potrebbero arrivare altri risvolti.
Le indagini hanno fatto emergere anche l’andamento dell’azienda: la società che si occupa di produzione di biogas, ai tempi dell’insediamento nella cittadina marsicana non ebbe particolari veti da parte dell’allora amministrazione. All’inizio tutto veniva fatto nella regolarità, poi invece, nel corso del tempo, si è venuti meno sempre di più, agli obblighi di legge che regolano lo smaltimento dei rifiuti.
Le indagini portate avanti dai carabinieri forestali di Celano per due anni hanno evidenziato come i liquidi di percolazione provenienti dal digestato (materiale che resta dopo i processi di trasformazione cui viene sottoposta la biomassa) invadevano diverse aree dello stabilimento trasformandole in zone melmose e maleodoranti.
Il digestato veniva anche portato fuori dallo stabilimento con documenti di trasporto integralmente falsi.
I militari hanno rilevato ulteriori irregolarità nella gestione e nello stoccaggio di altre tipologie di rifiuti prodotti nell’impianto, come detriti di demolizione, materiali ferrosi, oli lubrificanti, filtri e imballaggi. Materiale che veniva utilizzato anche per cercare di ricoprire la melma che si creava in alcune aree dell’impianto, non regolarmente impermealizzate.
All’interno dell’impianto arrivavano anche rifiuti dal Napoletano, in questo caso trasportati regolarmente, come “sottoprodotti”.
Il decreto di sequestro è stato emesso dal gip del Tribunale di Avezzano, Daria Lombardi ed è stato eseguito dai carabinieri forestali di Celano che hanno svolto le indagini in collaborazione con la sezione di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica di Avezzano e con i tecnici dell’Arta.
Titolare dell’inchiesta è il procuratore generale Andrea Padalino Morichini.
Gli indagati
Sul registro degli indagati attualmente risultano iscritti i legali rappresentanti della società di gestione dell’impianto, E.S. di 50 anni e F.T. di 30 anni, di G.T. 25 anni, (quest’ultimo legale rappresentante di un’altra società affittuaria dei terreni limitrofi all’impianto in cui erano accumulati i rifiuti solidi), tutti e tre dello stesso nucleo familiare e di N.C. 58enne, che trasportava e spandeva in altre località i liquidi provenienti dai residui delle biomasse già utilizzate nell’impianto.
I reati
I reati ipotizzati sono l’attività di gestione di rifiuti non autorizzata, prevista dal D. Lgs. 152/2006 all’art.256 commi 1,2 e 3, in concorso tra loro (violando l’art.110 del Codice Penale). Tali violazioni sono punite con l’arresto dai tre mesi ai due anni o un’ammenda da 2.600 a 50.000 euro, in relazione all’accertamento della natura dei rifiuti (la pena maggiore si applica se trattasi di rifiuti pericolosi).