Trasacco. In tanti per anni ci si è chiesti di chi fosse lo stemma nella Basilica dei Ss Cesidio e Rufino Martiri di Trasacco, collocato sotto la statua della Madonna Benedicente nell’Oratorio della Concezione. Durante la conferenza “Amedeo VI di Savoia – Lievi tracce nella Basilica dei Ss Cesidio e Rufino di un passaggio (di poco) mancato” è stato finalmente svelato il mistero da Pasquale Apone, presidente dell’Archeoclub di Trasacco ed autore della scoperta. Il convegno è risultato il frutto di anni di ricerche che hanno consentito ad Apone di ricollocare i vari tasselli al loro posto ed arrivare ad una conclusione storicamente documentata.
Amedeo VI di Savoia nacque il 4 gennaio del 1334 a Chambery e successe al padre Aimone il Pacifico nel 1343 divenendo Signore della Savoia, nonché personaggio di prima grandezza nel panorama politico del tempo. Detto il Conte Verde, in quanto colore questo che lo distinse sempre nello sfoggio di armi e vessilli nei numerosi tornei ai quali partecipò, fu la personalità di maggior spicco della storia sabauda e la più nobile espressione della Cavalleria medievale. Tra il 1362 e il 1365 compilò gli Statuti di Savoia e fu investito dall’Imperatore Carlo IV del Vicariato imperiale in Savoia, con giurisdizione estesa anche ai suoi successori, sull’Università di Ginevra e nelle Diocesi di Sìon, Losanna, Ginevra, Aosta, Ivrea, Torino e con diritto d’intervento negli affari locali. Sempre in quel periodo, nello strategico castello di Rivoli, il Conte Verde insediò un Consilium Principum, per risolvere le questioni con i feudatari, fondò la Compagnia del Collare, costituita da quindici Cavalieri, diventato poi l’Ordine Cavalleresco dell’Annunziata. Sotto il suo governo il Piemonte conobbe un periodo di splendore e gloria e attraverso importanti campagne militari e una saggia politica la sua fama valicò i confini italiani. Infatti, incitato dal pontefice Urbano V, che colse l’occasione per riunificare le Chiese Greca e Latina, il Conte Verde si recò in Oriente per partecipare alla crociata contro i Turchi in difesa dei Greci. Vinse i Turchi a Gallipoli, i Bulgari a Mesembria e a Varna, liberò l’imperatore greco Giovanni II Paleologo e con lui entrò a Costantinopoli, coprendosi di gloria.
Dopo qualche anno, per proteggere gli interessi familiari, fu costretto a battersi contro i Visconti il cui espansionismo minacciava di estendersi al Monferrato. Eletto Capitano supremo della Lega cui aderirono anche Chiesa ed Impero, contro l’ambizione di Galeazzo, Amedeo VI riportò una serie di trionfi enfatizzati dalla battaglia di Gavardo nel 1373. La sua fama di saggio combattente lo portò anche a risolvere il conflitto che si protraeva da tre anni tra le Repubbliche di Genova e Venezia per la supremazia in Oriente: nel 1381 esse ne invocarono l’arbitrato ed egli lo pronunciò con una sentenza condivisa dai belligeranti e ritenuta un capolavoro di saggezza politica. La pace conclusa fra le due parti, portò Amedeo VI di Savoia all’apice della gloria. Nel 1381, in seguito allo scisma della Chiesa avvenuto a causa della doppia elezione pontificia di Urbano VI a Roma e di Clemente VII ad Avignone, Amedeo VI di Savoia appoggiò quest’ultimo in quanto cugini, ma soprattutto prezioso alleato per le sue mire espansionistiche. In seguito alla scomunica di Urbano VI sia verso il papa di Avignone e i suoi alleati, sia nei confronti di Giovanna di Napoli, considerata una regina scismatica ed eretica a causa dell’adozione e del riconoscimento come erede al trono del conte Luigi d’Angiò Valois, l’ultima impresa del Conte Verde fu una spedizione nell’Italia meridionale, per la conquista del Regno di Napoli (il cui trono era stato frattanto occupato da Carlo III d’Angiò di Durazzo) e per la volontà di Clemente VII di poter entrare a Roma e non perdere l’appoggio dello Stato partenopeo. Purtroppo la spedizione si rivelò fallimentare e il Conte Verde morì di peste, il 1° marzo 1383, a Santo Stefano di Campobasso. Le sue spoglie imbalsamate furono trasportate per mare da Pozzuoli a Savona per poi essere deposte nell’Abazia di Hautecombe.
Durante la marcia verso Napoli, l’esercito angioino entrò a L’Aquila e continuando l’avanzata scese prima nel bacino di Celano facendo tappa ad Ortucchio, poi Opi sotto Pescasseroli, la valle del Volturno, Sant’Agata, arrivando, infine, a Maddaloni, vicino Napoli. Quando, dunque, angioini e savoiardi arrivarono a Trasacco? Un aiuto indiretto per risolvere questo interrogativo sembra arrivarci proprio dal Re Carlo III di Durazzo il quale emanò un bando di cattura nei confronti dei cavalieri italiani e sabaudi che parteciparono alla spedizione contro di lui, dove vi compare un certo Enrico da Trasacco. Probabilmente si tratta di quello stesso Enrico di Bartolomeo Enricis, suffeudatario dei Conti dei Marsi, la cui esistenza è testimoniata anche da un atto notarile dell’archivio parrocchiale del 1394, nel quale si evince che il nobiluomo di Trasacco, proprietario della ‘chiesetta rurale’ di San Tommaso situata in località ‘Fossa di Villa’ (contrada fuori dal paese), ne abbia fatto donazione alla Basilica dei Ss Cesidio e Rufino. Costui sarebbe l’anello di congiunzione che spiegherebbe in paese la presenza di un certo Guillaume de Grandson, del cantone svizzero di Vaud, leale servitore e parente di Amedeo VI e alla cui corte fece una brillante carriera. Fedele e valoroso cavaliere dell’Ordine del Collare o della SS Annunziata, divenne favorito del Conte e partecipò anche a numerose spedizioni militari, sia in Italia che in Oriente (Crociata del 1366-67). Figlio di Pierre II e Bianca di Savoia-Vaud, fu Cavaliere dal 1346 e Signore di Saint-Croix, Grandcour, Cudrefin e Bellerive, tutti nell’Alta Savoia. Fu padre di Othon III, il cavaliere-poeta. Lo stemma della famiglia “de Grandson” è dato da uno scudo paleggiato in maniera alterna da azzurro e argento, con una banda trasversale color rosso e con conchiglie in oro. Questa stessa raffigurazione è presente sotto la statua della Madonna Benedicente, che ora si trova all’interno dell’oratorio della Concezione della Basilica. Si suppone, dunque, che la statua fosse stata commissionata proprio per l’arrivo a Trasacco di Grandson come ex voto alla Vergine Maria da parte di questi, per ricevere protezione per il suo ritorno a casa durante la ritirata oppure come ringraziamento per essersi salvato dall’epidemia di peste, concausa del fallimento della spedizione militare a Napoli. La statua della Madonna Benedicente è della scuola di Tino di Camaino, un architetto e scultore senese, allievo di Giovanni Pisano, che nel 1323 si trasferì a Napoli alla corte angioina, e si rifà ad uno stile francese. Recitava uno slogan pubblicitario di qualche anno fa dell’Archeoclub d’Italia: “L’Italia sta perdendo la memoria, l’Archeoclub ti aiuta a ritrovarla”. Dell’origine di questo monumento mariano si era persa la memoria, dopo oltre sei secoli la suddetta associazione, grazie ad una lunga ricerca, l’ha ritrovata. Antonella D’Angelo